Il sottotitolo potrebbe essere “I misfatti della consanguineità”, dei legami familiari, anche se senza colpe specifiche. Nella coppia la consanguineità fa inevitabilmente aggio sull’affetto (rispetto) reciproco, è “terzo incluso” della filosofia, anche senza volerlo. Lo stesso nella parentela e nella società.
Irène Némirovsky ne subì il pregiudizio nell’infanzia a Kiev, sotto forma di pogrom e isolamento, e poi sotto forma di diffidenza nella libera Parigi, fino alla denuncia e alla persecuzione razzista durante l’occupazione tedesca,. Per una “identità di sangue” che, senza pregiudizio naturalmente, era un animo buono, sentiva come una gabbia e un limite. Non per colpa ma per la forza dell’abitudine, del pregiudiziale “noi e loro”.
Il racconto è semplice, come sempre nella Némirovsky, è una cosa che tutti facciamo, abbiamo fatto. I fratelli che, come ogni domenica, si ritrovano con le consorti attorno alla vecchia madre, “provano l’indicibile fatica che s’impossessa dei membri di una famiglia quando si trovano riuniti insieme da più di un’ora”. Per quell’indissolubile legame che, pur in mezzo a esperienze e ambizioni diverse, li soggioga. Un piccolo spicchio, ma…, della commedia umana di questa scrittrice senza padrini (procuratori, esegeti, sistematori): la narrazione dei sentimenti della vita borghese, personale e di gruppo, con l’andamento ciclico della “Camera rossa”, senza colpa quindi per nessuno ma con la distinta malinconia della felicità sempre omessa, quasi rifiutata.
Irène Némirovsky, Legami di sangue, Elliot, pp. 93 € 9
lunedì 1 aprile 2013
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