mercoledì 17 aprile 2013

Letture - 134

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Bassani – Il più accanito denigratore del “Giardino dei Finzi Contini”, prima del “Liala” che l’algido Sanguineti gli appioppò a Palermo nel 1963, fu Vittorini. Ma Vittorini non ha nulla che oggi regga al confronto – è illeggibile, con tutta la buona volontà. Anche come lavoro editoriale dobbiamo di più a Bassani: il “Gattopardo” naturalmente, e il primo catalogo Feltrinelli.

Dante - Poeta dell’intelligenza (Getto), più che delle passioni (De Sanctis, Benigni)? Perché non tutt’e due?

Erotismo – Quello cartaceo è in crisi – a causa della crisi? Già le varie “Sfumature” erano deboli, un Ersatz stinto. Il “dibbattito” aperto da D’Orrico per passare l’estate su “Sette” è stato più che altro una palestra di exempla cervellotici. Eco in “Costruire in nemico”, parlando diffusamente del suo Victor Hugo (pensavamo che l’Eco dei romanzi fluviale si rifacesse a Dumas? Sbagliato, era Victor Hugo) trascrive alle pp. 181-83 “una delle vette della letteratura erotica” di freddezza inimmaginabile. Ci sono gialli, niente più storie d’amore. Nemmeno politicamente corrette, per esempio omosessuali – le più gelide di tutte, molto puritane.
 
Gruppo 63 – Fu meglio rivisitato per il quarantennale, dieci anni fa. Tutto è stato detto allora da Umberto Eco. L’idea fu di Balestrini: rifare in Italia il Gruppo 47 tedesco, di letterati che si riuniscono periodicamente per leggere i loro lavori e criticarsi l’un l’altro (“faremo schiattare un sacco di gente”). Non un grande programma - una delle prime riunioni del Gruppo 47 consisté nel far piangere Ingeborg Bachmann, trattandola come oca, perché era bella e brava. Ma una novità: la sovversione attraverso l’establishment. “Il Gruppo 63 è stato l’espressione di una generazione che non si ribellava dal di fuori bensì dal di dentro. Non è stata una polemica contro l’establishment, è stata una rivolta dall’interno dell’establishment”. E una forma d’illuminismo padano. Di una generazione favorita dalla data di nascita, gli anni 1930, e per questo molto avvantaggiata sulle precedenti, che avevano perduto gli anni del fascismo, della guerra, e della irta ricostruzione, col mondo a portata di mano. Eco ricorda che nel 1963, a trent’anni, fu introdotto nel diorama della nuova critica europea dal “Times Literary Supplement”, alla pari con Emilio Cecchi, nato cinquant’anni prima di lui e stimato anglista di professione (che commosso si celebrerà in due elzeviri sul “Correre della sera”).
La celebrazione di Eco si conclude con un lapsus, per il suo curioso apoliticismo (apolitismo? apotismo?). Eco, che è di sinistra, si vuole felicemente fuori della politica. L’irrisione, lamenta, verso il Gruppo 63 fu ripetuta e dura “a sinistra”, senza considerare che “alcuni, per esempio Sanguineti”, erano”esplicitamente schierati a sinistra”. Cioè col Pci, che Eco non nomina. Lo stesso “l’estetica del realismo socialista”, che la rievocazione variamente irride, è senza padri.

Immagine – Prevale oggi nella presentazione di ogni personaggio, sia leggero,o politico o economico, sui testi e la biografia vera. Di Belèn quando stava con Corona, come lui antipatica, e di Belèn beniamina degli italiani a Sanremo. O del Berlusconi universalmente antipatizzante, “preso” dal sottinsù preferibilmente, mussoliniano, o altrimenti gonfio, smorfioso, etc. - curiosamente pure nelle sue televisioni. Ma è ricetta antica. Massimo Firpo ne fa sul “Sole 24 Ore” una disamina appassionante sull’immagine di Machiavelli. Che quando è antipatico, nel Cinquecento, viene figurato “torvo e infido”, sotto le specie di una “testina spelacchiata” stampata sul frontespizio delle opere pubblicate a Venezia in quattro volumi nel 15401541 - e che invece, lo studioso ha accertato, raffigura un Fino Fini, tesoriere degli Estensi a Ferrara, “brutto, arruffato e spigoloso personaggio”. Nel Sette-Otocento invece, affermandosi il riscatto italiano contro lo straniero, il segretario fiorentino si raffigurò nell’immagine più nota, severa ma complice, ricavata probabilmente dalla maschera mortuaria.

Machiavelli – L’ermeneutica di Machiavelli è un’arte a sé. Inferiore forse solo all’esegesi biblica, per varietà d’intepretazioni. Isaiah Berrlin apre il suo “La questione Machiavelli” così: “C’è qualcosa di sorprendente già nel numero di interpretazioni delle opinioni politiche di Machiavelli. Esistono, anche ora (Berlin scrive nel 1971), più di una ventina di teorie importanti su come interpretare “Il principe” e i “Discorsi”. Un destino, continua Berlin, che Machiavelli condivide con altri pensatori che agitano l’opinione e la dividono, Platone, O Rousseau, Hegel, Marx. Ma “Platone scrisse in un mondo e in una lingua che non siamo certi di possedere”, mentre gli altri “sono teorici prolifici, in lavori che sono scarsamente modelli di chiarezza o sostanza”. Mentre il “Principe” è un libro breve, e “singolarmente lucido, succinto, e pungente – un modello di chiara prosa rinascimentale”. Il problema con Machiavelli è che è disturbing.
Anche sul “realismo”, la meno contestata delle disposizioni di Machiavelli, Berlin trova che c’è da sottilizzare: “Il professor H.L. Trevor-Rops”, scrive in nota, “attira la mia attenzione all’ironia del fatto che gli eroi di questo supremo realista sono tutti, interamente o in parte, mitici”.
Quanto alle applicazioni del “machiavellismo”, tra forza e inganno, quello di Federico il Grande di Prussia Berlin si chiede quanto non debba “al suo mentore Voltaire”.

Curiosamente, latita nella vasta ermeneutica l’ambizione letteraria di una vita, e lo spessore della stessa. Coltivata molto più che la scienza politica in sé. Anche la lettura e il commento degli antichi.
Ma latita tutto Machiavelli, in questo cinquecentenario del “Principe”, almeno in Italia. Non per colpa sua, si direbbe, non è il solo segno di disattenzione: è il Paese che è mediocre e senza interessi.

Se ne è fatto molto il caso per il sovietismo, l’uso disinvolto dei mezzi più distruttivi a fini giudicati costruttivi.  Berlin, studioso del sovietismo, ne ha trovato per “un solo esteso trattamento”, in una introduzione, che ebbe breve vita, di Kamenev al “Principe”, nel 1934. Per la “quasi dialettica” presa di Machiavelli sulla realtà della politica – potere e libertà – fuori dalla “fantasie” metafisiche e teologiche” Kamenev ne faceva un ottimo precursore di Marx, Engelsn, Leni, e Stalin. Un giudizio che sarà usato contro di lui da Vyshinsky, il suo accusatore nel processo liquidatorio.

Morselli – Risuscita in libreria con “Roma senza papa”, suo unico titolo. Con una fascetta nuova fiammante: “Un libro profetico”. A ogni morte di papa?

Pound – Trova un primo assestamento, dopo il girovagare curioso in Italia e Francia, a Londra, che usciva dalla sonnolenza vittoriana. Con le più disparate compagnie. La rivista “The Egoist” di Dora Marsden (1914-1919), di cui fu una colonna, era nata come “The Freewoman” (1911-12), poi “The New Freewoman” (1913). Dora Marden era uscita dalla Wspu, Women Social & Political Union, delle sorelle Pankhurst.
Nel coevo vorticismo, animato da allo scrittore-artista poliedrico Wyndham Lewis d aultimo con la rivista “Blast”, Pound si trova in compagnia di Rebecca West e Ford Madox Ford. Vorticismo, nel manifesto di W.Lewis, è “una rappresentazione dall’esterno di forze cinetiche, priva di manticismo, un’organizzazione di superfici”. Molto futurista:  nella forma del vortice Lewis intendeva esprimere la deflagrazione - blast è scoppio.

letterautore@antiit.eu

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