venerdì 5 aprile 2013

L’Olocausto censurato

Un doppio romanzo-verità, per la storia che racconta, e per la censura che ha subito in Italia. Jan Karski (Kozielewski di suo vero nome) è un giovane ufficiale polacco, poi attivo nella Resistenza contro l’occupazione tedesca, che denunciò l’Olocausto subito, nel 1942. E ne scrisse anche, questo libro fu pubblicato negli Usa nel 1944. A lungo non creduto, negli stessi Usa che l’avevano accolto – anche per non turbare l’alleato Stalin. Strumentalizzato poi dai negazionisti, in quanto non parla di camere a gas.
La cosa passa oggi in subordine nell’economia di questa testimonianza, che si rilegge come un libro di avventure. Ma è una prova storica importante: non è vero che lo sterminio degli ebrei, a partire da una certa data della guerra, fosse sconosciuto, un segreto. Karski lo denunciò subito: il 10-12 agosto del ‘42 Witold Pilecki, della resistenza polacca interna a Auschwitz, ne diede testimonianza scritta, e lui diligente ne fece parte ai capi religiosi e politici in Occidente. Dove fu in missione, a Londra e a Washington, personalmente anche a Eden e al presidente Roosevelt. E dopo aver fatto un riscontro personale, in un lager vicino Lublino, camuffato da poliziotto, dove non trovò camere a gas ma vide dei vagoni ferroviari adibiti a forni, con uno spesso strato di calce viva.
La testimonianza di Karski fu ulteriormente documentata dalla Resistenza polacca a ottobre del ’42. Le Nazioni Unite dettagliarono lo sterminio a dicembre. Il New York Times ne aveva riferito il 30 giugno e il 2 luglio.
L’eccidio degli ebrei fu insomma un segreto alla Poe, bene in vista. Nelly Sachs sapeva nell’esilio a Stoccolma, nel ‘43, quando scrisse “il tuo corpo è fumo nell’aria”, l’epicedio per il “fidanzato morto”, il giovane che mai la amò. Malaparte, ospite gradito a Varsavia del “Re tedesco di Polonia” Hans Frank, lo diceva e lo scrisse nel ‘43, degli ebrei morti in massa, nel ghetto e fuori, per fame, impiccagione, mitra, dei vagoni piombati, delle ragazze ristrette nei postriboli. A fine ‘43 circolava in Svizzera un Manuale del maggiore polacco: Jerzy Tabeau, evaso da Auschwitz, vi stima in mezzo milione gli ebrei già eliminati nei lager. Ma la consegna è del silenzio: i russi, che liberano Auschwitz a gennaio del ’45, ne parlano a maggio, senza menzionare gli ebrei.
Ciò malgrado – la “prova” dello sterminio – il libro è rimasto clandestino in Italia. La Resistenza polacca era indigesta all’Unione Sovietica, al regime polacco, e evidentemente all’Italia, all’editoria italiana. Benché di sicuro effetto. E malgrado il patrocinio di Gustavo Herling, patriota polacco, ottimo scrittore, genero di Benedetto Croce.
Jan Karski, La mia testimonianza. Storia di uno Stato clandestino, Adelphi, pp. 448, ill., € 32

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