Partito sociologo, Baudrillard finisce sommerso dalla
“sparizione del soggetto”. In “una soggettività da fine del mondo”.
Volteggiando in “una soggettività diffusa, aleggiante e senza sostanza” – tutto
sempre ben detto – “ectoplasma che tutto avvolge e trasforma in un’immensa
superficie di riverberazione” – parole su parole – “d’una coscienza vuota,
disincarnata” - ma di che stiamo parlando? – “in cui tutte le cose rispendono
di una soggettività senza soggetto” – una soggettività senza soggetto? – “ogni
monade, ogni molecola presa nelle maglie di un narcisismo definito, di un
ritorno-immagine perpetuo”. È solo di tante consecutio
analoghe.
L’”arte” o strategia della dissoluzione è pervasiva,
perché “analizzare significa,
letteralmente, dissolvere”. E così siamo alla “dissoluzione dei valori, delle realtà,
delle ideologie, dei fini ultimi”. Delle ideologie sì, ma i valori? la realtà? i
fini utimi? O la catastrofe non sarà l’effetto, più che del virtuale, della
caduta del Muro? È da allora che la realtà è scomparsa per Baudrillard, la
prima visione del vuoto la ebbe nella guerra del Golfo.
Questo naturalmente qui non si dice. Il mondo scompare
da quando viene scoperto, col telescopio di Galileo e il calcolo matematico.
Anzi, “il mondo reale inizia a scomparire nello stesso momento in cui inizia a
esistere”. Nascendo morimur, dicevano
già i romani, che non erano molto buoni filosofi – non ci vedevano bene? O,
volendo, l’entropia di Teilhard de Chardin, l’evoluzione come perdita. O
altrimenti la sparizione è successiva, col linguaggio: “Rappresentandosi le
cose, nominandole, concettualizzandole, l’uomo le fa esistere e al tempo stesso
le fa precipitare verso la loro perdita, le distacca sottilmente dalla loro
realtà nuda e cruda”. Che non è il nichilismo tedesco di Heidegger o della Nach
Neuzeit di Romano Guardini, qui c’è una “realtà nuda e cruda”, addirittura. Che
Baudrillard esemplifica nella “classe”, la classe di Marx.
Jean Baudrillard, Perché
non è già tutto scomparso?, Castelvecchi, pp. 53 € 7,50
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