martedì 16 aprile 2013

Perché Baudrillard è scomparso?

Già, perché? Variante degli ottimi testi essenziali de L’Herne, l’aureo lascito di Baudrillard è catastrofico, nostalgico. Contestabile. La dissoluzione dell’immagine nel digitale, dall’analogico al digitale, sintetizza la dissoluzione del reale nel virtuale. Bene.“La fotografia di Barthes “testimoniava un’assenza senza appello, qualcosa che era stata presente una volta per tutte”, il digitale “è in tempo reale e testimonia qualcosa che non  ha avuto luogo, ma la cui assenza non significa nulla”. Ingegnosa paroleria,  specialità dell’hortus conclusus tra la vecchia Rive Gauche e le università della banlieu, il ghetto intellettuale – in Francia si vuole ghetto. “Lo stesso destino mentale minaccia l’universo mentale e tutta l’estensione del pensiero”. Quando mai?
Partito sociologo, Baudrillard finisce sommerso dalla “sparizione del soggetto”. In “una soggettività da fine del mondo”. Volteggiando in “una soggettività diffusa, aleggiante e senza sostanza” – tutto sempre ben detto – “ectoplasma che tutto avvolge e trasforma in un’immensa superficie di riverberazione” – parole su parole – “d’una coscienza vuota, disincarnata” - ma di che stiamo parlando? – “in cui tutte le cose rispendono di una soggettività senza soggetto” – una soggettività senza soggetto? – “ogni monade, ogni molecola presa nelle maglie di un narcisismo definito, di un ritorno-immagine perpetuo”. È solo di tante consecutio analoghe.
L’”arte” o strategia della dissoluzione è pervasiva, perché “analizzare significa, letteralmente, dissolvere”. E così siamo alla “dissoluzione dei valori, delle realtà, delle ideologie, dei fini ultimi”. Delle ideologie sì, ma i valori? la realtà? i fini utimi? O la catastrofe non sarà l’effetto, più che del virtuale, della caduta del Muro? È da allora che la realtà è scomparsa per Baudrillard, la prima visione del vuoto la ebbe nella guerra del Golfo.
Questo naturalmente qui non si dice. Il mondo scompare da quando viene scoperto, col telescopio di Galileo e il calcolo matematico. Anzi, “il mondo reale inizia a scomparire nello stesso momento in cui inizia a esistere”. Nascendo morimur, dicevano già i romani, che non erano molto buoni filosofi – non ci vedevano bene? O, volendo, l’entropia di Teilhard de Chardin, l’evoluzione come perdita. O altrimenti la sparizione è successiva, col linguaggio: “Rappresentandosi le cose, nominandole, concettualizzandole, l’uomo le fa esistere e al tempo stesso le fa precipitare verso la loro perdita, le distacca sottilmente dalla loro realtà nuda e cruda”. Che non è il nichilismo tedesco di Heidegger o della Nach Neuzeit di Romano Guardini, qui c’è una “realtà nuda e cruda”, addirittura. Che Baudrillard esemplifica nella “classe”, la classe di Marx.
Jean Baudrillard, Perché non è già tutto scomparso?, Castelvecchi, pp. 53 € 7,50

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