domenica 21 aprile 2013

Perché la Germania doveva perdere la guerra

Discorsi patriottici del 1914-’15, ma con taglio non d’occasione. Della guerra che col secondo Ottocento non è più per la terra del vicino ma per la potenza industriale e commerciale. Dello “spirito di conquista” che prende la mano. Nella vecchia guerra era necessariamente limitato: “Non si può annettere più di una o due province alla volta; ci si indebolirebbe a prenderne di più”. Mentre la Prussia trapassa, “senza transizione, dalla prudenza più accorta alla temerarietà più folle” – anche contro Bismarck. Emerge qui il concetto di “forza”, che Simone Weil approfondirà. La Germania “profonda”( provinciale, modesta, tutta canti e bevute) imbelvisce: “sprofondata” in una prosperità” quale non avrebbe osato sognare”, si disse “che se la forza aveva fatto tale miracolo, se la forza aveva potuto dare la gloria e la ricchezza, ciò significava che la forza racchiudeva, senza dubbio, in sé una virtù misteriosa, una virtù divina”. Da qui, siamo nel 1914, anche il razzismo (“il popolo che riceveva questo slancio diventava popolo eletto, razza di padroni, accanto agli altri che sono razze di schiavi”), e l’imperialismo per mandato divino. Anche, nel suo nucleo, la “questione Heidegger”: “Il giorno in cui la Germania, cosciente del suo avvilimento morale, dicesse per scusarsi di essersi affidata a certe teorie, che un errore non costituisce un delitto, si dovrebbe risponderle che la sua filosofia fu semplicemente la trasposizione ideale della sua brutalità, dei suoi appetiti e dei suoi vizi”. Ma la forza non è materiale, del “meccanismo”, dell’organizzazione, è morale: “Dov’è l’ideale della Germani contemporanea?”. Da qui la profezia, nel 1915, che la Germania soccomberà – sarà il paradigma del Vietnam.
C’è il Blizkrieg, anche se non c’era la parola, la necessita della guerra rapida. Per non interrompere l’arricchimento, la base del consenso, “e anche e soprattutto perché la sua potenza militare non trovava, nella coscienza di un diritto superiore alla forza”, pur sempre latente, una convinzione durevole. Da qui la guerra come “barbarie scientifica”, “barbarie sistematica”.
Henri Bergson, Sul significato della guerra, Mimesis, pp. 44 € 4,90

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