Nella prefazione si appella al cardinale Dionigi Tettamanzi e a “Famiglia Cristiana”- il “Principe” e Machiavelli lasciando alle “prefazioni di Benito Mussolini o di Bettino Craxi o di Silvio Berlusconi”. Esordisce come tutti: “Sono un vecchio, incallito, mai pentito moralista. La parola mi piace, perché richiama non una moralità passiva, compiaciuta, contemplativa e consolatoria, ma un’attitudine critica da non abbandonare, una tensione continua”. Come tutti, chi non è moralista - a parte le allitterazioni in c? I corrotti se lo dicono – il professore forse non legge. Poi cita Alberto Sordi, in funzione apotropaica, per scongiurare gli accostamenti. Che però s’impongono nella sceneggiata che ha appena concluso con Grillo: Grillo non è Sordi, ma è come se ne volesse impersonare i vizi.
Rodotà sfonda una porta aperta – come tutti i moralisti. Ma fa senso sfogliare il volumetto, una raccolta di articoli usciti su “Repubblica” tra il 2009 e il 2011, dopo la ridiscesa in campo del giurista in politica ai piedi di Grillo. È lo stesso Rodotà che nel 1961 rifiutò a Pannella il passaggio del partito Radicale con i socialisti, per il rinnovamento del diritto di famiglia e societario, perché si voleva liberale di destra? Salvo poi fare l’indipendente del Pci, col,posto assicurato in Parlamento. O è quello che nel 1992 lasciò il Pci-Pds dopo che gli aveva preferito Napolitano per la presidenza della Camera? Dicendo: “Il Pds è pieno d’imbecilli”. Il partito di cui era il presidente (uno degli articoli non è di “Repubblica”, è del 13 maggio 1992, quando Rodotà ancora scriveva per “l’Unità”). La coerenza non è forse un pregio moralista. L’arrivismo forse sì.
Ma Rodotà non è un opportunista.
Stefano Rodotà, Elogio del moralismo, Laterza, pp. 94 € 9
lunedì 22 aprile 2013
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