giovedì 4 aprile 2013

Sliding door – e Celestino Bersani fu statista

Immaginiamo che quaranta giorni fa, perdute le elezioni, Bersani si fosse rilanciato col governo. Intransigente ma rassicurante. Supponente anche, il suo idolo Montanelli, il “muso” di questa sinistra, avrebbe detto “turandosi il naso”, come Brandt fece con Kiesinger, o Angela Merkel con i Verdi (o i Verdi con la Merkel, se solo la sinistra si tura il naso). E avesse cercato il riscatto con un governo forte. Con decreti per la riduzione della spesa e delle tasse, per il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione, e per la sanatoria degli esodati: Con una seria politica europea di bilancio. Con progetti già al primo o secondo voto in Parlamento per la riduzione dei parlamentari, delle spese dei partiti, del bicameralismo vuoto, e dei troppi parlamentini locali. Nonché, impossibile non è, un’iniezione d’intelligenza, anche modesta, alla burocrazia. Tutte cose semplici, e scontate, accettate cioè da tutti. A quest’ora sarebbe un leader politico di statura mondiale.
Invece si è imposto, e ci impone, l’afflizione. Si potrebbe dire, siamo in clima di rinuncia, un Celestino laico, uno che porta la croce del mondo, se non la cenere, ma se lo è, allora è da carnefice e non da vittima, seppure della sua debolezza. Le consultazioni bersaniane, così come i saggi a dieci giorni (+ 10?), sono il peggiore esercizio di antipolitica che si potesse escogitare, dannosissimo. In una col dibattito stucchevole sulle spese dei politici, una goccia. Per di più inconcludenti, con accuse e contraccuse fantasiose (“Diamo la politica in mano ai ricchi”, “la diamo in mano ai corrotti”…). Bersani pensa di sconfiggere l’antipolitica con l’antipolitica?

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