Poiché imperversa il “nuovo”, val la pena fare la
storia di De Magistris, il “novissimo” subito naufragato a Napoli – portandosi
dietro purtroppo la città, che in questi giorni ospita la prestigiosa America’s
cup, ma nessuno la sa o gliene frega. L’ex giudice non ha l’inventiva dell’ex
comico, ma più rapidamente è riuscito a ottenere quello che voleva, il comando della
sua città. Se non che la sua storia è semplice, troppo, si capisce che non
sappia che fare. Una storia di carrierismo e di fallimenti, da ultimo l’inabissamento
di Napoli, e il suicidio del giudice D’Amico, da lui accusato e vilipeso sapendo che era innocente.
Benché nobiltà di toga - “magistrato figlio di magistrato, nipote di
magistrato”, come amava definirsi in carriera - De Magistris era stato
confinato a Catanzaro. Succede, anche i magistrati di toga, anche i napoletani,
all’inizio li mandano lontano. Ma impaziente volle bruciare le tappe
attaccandosi alla politica. A casaccio, cioè senza appigli reali. E a sinistra –
allora il giudice non nascondeva le simpatie destrorse che il giustizialismo
comporta. Liquidò la giunta regionale, che in Basilicata è di sinistra, e mezza
Procura di Potenza. E si attaccò al governo Prodi.
Della caduta del governo Prodi nel 2008 De Magistris fu l’autore e non De
Gregorio, con parole e opere. Con atti giudiziari avventati e abortiti, cioè,
ma con molte interviste. Spesso da Santoro, alla Rai. Col patrocinio di Di
Pietro, altro fascistoide finito a sinistra. Per abbattere Prodi puntò, da napoletano
verace, contro l’intruso Mastella, che è di Benevento e di Prodi era ministro
della Giustizia, addirittura. A Prodi e Mastella fece ascendere una non
precisata “loggia massonica coperta a San Marino”, costituita allo scopo di
gestire i fondi europei per la formazione professionale in Calabria. Una cosa
molto ridicola, ma è difficile dimostrare l’inesistenza di una “loggia
massonica coperta a San Marino”, e questo bastava ai suoi patrocinatori in Rai
per avere ragione. Tanto più che a De Magistris i testimoni d’accusa non
mancavano, un lui e una lei imputati e condannati per la cattiva gestione degli
stessi fondi.
Per un paio d’anni De Magistris fece la legge sui grandi giornali e alla
Rai. Finché non ottenne l’agognato trasferimento a Napoli. E poiché i suoi ex
colleghi a Catanzaro ne ridevano, li denunciò alla Procura di Santa Maria Capua
Vetere. Che pronta mandò una colonna mobile di notte a Catanzaro, 425 km, 850
andata e ritorno, a occupare la cittadina e perquisire gli uffici giudiziari –
da qui la disgrazia costata la vita al giudice D’Amico.
A Santa Maria Capua Vetere De Magistris doveva il colpo da maestro contro
Mastella – e Prodi. Non potendosi nulla contro Mastella, quella Procura aveva
messo sotto accusa la moglie di moglie di Mastella. Il ministro della Giustizia
reagì nervoso, e il governo cadde. Le tre inchieste di De Magistris invece
furono tutte rigettate dal giudice istruttore.
Il problema con De Magistris è che la sua non è una storia isolata. E anzi
fa opinione.
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