Per uscire da Pisa non ci sono segnali. Volete sapere dov’è l’autostrada per Roma, o per Genova-Milano? Non ve lo dicono. Una città con 50 mila studenti fuori sede. Massa ha il record assoluto e pro capite di perdite per una Asl – che ora pensa di colmare fornendo ai portantini una divisa invece di due. Livorno ha perso da alcune settimane le crociere (per le gite a Pisa, Siena. Firenze), dopo aver perso i containers, e non ha più traffico – era il primo porto italiano trent’anni fa.
Dovunque si guardi, la mitica Toscana riesce la regione peggio amministrata d’Italia. Fedelissima sempre all’ex Pci, ma per qualche ragione che non è la buona amministrazione. Perfino le due catene cooperative toscane della grande distribuzione, la Firenze e la Tirreno, vivacchiano: care, anguste, non ben servite, a fronte della Esselunga e delle catene francesi, il patrimonio indebolito in favore di speculazioni finanziarie finite in mezzi disastri.
Firenze ha perso il titolo di capitale intellettuale d’Italia, che raccoglieva studenti e studiosi di ogni disciplina. Aveva già perso ogni altra industria, e ora è una provincia dell’impero anche del vino, giusto un nome – il Chianti non è più da tempo “il” vino italiano nel mondo, e quel che ne rimane è “americano”. Prato aveva un’industria millenaria della lana e l’ha persa. Arezzo sta perdendo quella orafa.
Non c’è solo Siena nel disastro Toscana. Nella città del palio, è bene ricordarlo, l’università era fallita prima della banca: aveva raccolto i fuori sede di tutta Italia richiamati dal mito Toscana e rigettati da Firenze, ed è riuscita ad andare in amministrazione controllata. Firenze aveva rigettato gli studenti d’Italia per fare felici immobiliaristi e costruttori, l’università relegando in una sporca periferia.
Non c’è che Lucca che prosperi. Perfino nell’industria cartaria che la crisi del petrolio aveva condannato quarant’anni fa e ora è in grande spolvero. E nella sua porzione di litorale, la Versilia. Ma vota bianco.
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