Perché Duisburg? Forse perché è un porto interno, il più
grande del mondo. Alla confluenza dei fiumi Reno e Ruhr. A pochi chilometri dall’aeroporto
intercontinentale di Düsseldorf. Con un quarto della popolazione turca. Non bisognava
abolire la geografia. Non, almeno, nelle scuole di polizia.
Fino agli anni 1980 l’eroina arrivava, via terra, dalla
Turchia. Poi è stata sostituita dalla cocaina sudamericana, via mare e via
aria.
“Quando iniziarono i sequestri di persona ci fu chi restò
indifferente dicendo che il fenomeno interessava solo i miliardari”. Così
Andreotti può ricordare la cosa già nel 1983 (nella rubrica “Bloc Notes”, ora
nell’antologia “Il potere logora”, p. 149), ma i sequestri dureranno ancora
un decennio. Creando la ‘ndrangheta, la mafia più invadente. Ci furono
collusioni? Non era difficile a San Luca, paese non grande, e ancora meno a Platì,
sapere chi e cosa. Certo non con l’elicottero.
“Un
altro mondo”, solo queste tre parole nel prolisso racconto che Marisa Merico
fa della sua famiglia mafiosa (“L’intoccabile”), per dire di Cardeto,
nell’Aspromonte, “San Sperato” nella narrazione, paese civile, musicalissimo,
centro della “tarantella aspromontana”, dove ogni anno passava le vacanze di
agosto, venendo da Milano o dall’Inghilterra. Le donne\uomini di mafia, come
quelli di finanza e d’affari, sono tipi monomaniaci, unidimensionali. Hanno
antenne sensibili, ma non vedono.
“Non
ci possiamo lamentare”, lo scongiuro in uso per evitare di dire “sto bene”,
Andreotti rileva stranamente bilanciato dalla lamentala continua, una sorta
di aggressione degli altri con i propri malanni.
È
un uso dunque italiano, non solo di molti linguaggi del Sud, la funzione
apotropaica della parola, di scongiuro – non sfidare il destino, non
scuoterlo dal torpore.
Nonché
al Sud, anche in Polonia il compleanno non è, non era, gradito. Andreotti
ricorda, nello stesso libro, “Il potere logora”, come dal Vaticano fosse
venuta la raccomandazione di non celebrare i settant’anni di Woytiła. Che
poi, dovendo parlare alla beatificazione di Pier Giorgio Frassati, si limitò
a ringraziare chi gli aveva fatto gli auguri per il suo “ingresso nell’ottavo
decennio”.
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Donne d’onore
Le prime
testimoni contro la mafia sono in Calabria le donne, le figlie. Contro lo
stereotipo della donna del Sud – o forse contro lo stereotipo unificante: non
tutto il Sud è Sud.
Molte di
più sono però le donne che dirigono gli affari di famiglia, specie in Calabria,
“rapide e invincibili”, come voleva un motto militaresco. Non se ne possono
fare i nomi, ma quello di Maria Serraino basta per tutte. Giovane analfabeta di
Cardeto, in provincia di Reggio Calabria, emigrata a Milano e subito regina
incontestata del contrabbando prima poi della droga, con una dozzina di figli e
nipoti ai suoi ordini.
Le donne
sono anche i testimoni di mafia più perseguitati, fino alla morte. Tante ormai
ne sono vittime. Da Rita Atria, che non resse alla strage di Borsellino, a Lea
Garofalo, che nel 2002 decise di denunciare le faide tra la sua propria
famiglia e quella del suo compagno Carlo Cosco. Sette anni dopo anche Lea
Garofalo pagherà con la vita.
Il suo
ex compagno poté tranquillamente ucciderla e scioglierla in cinquanta litri di
acido. Seppure in territorio estraneo, in Brianza. E beneficiare poi di un
processo ipergarantista, annullato una prima volta e rifatto per intiero, su
decisione della giudice Anna Introini. Con patrocinio legale gratuito pagato
dallo Stato, nella persona dello stimato professionista milanese Daniele
Sussman Steinberg.
Ammessa nel 2002 al programma di protezione
insieme alla figlia Denise e trasferita a Campobasso, Lea se l’era visto
revocare nel 2006 perché l'apporto dato non era stato “significativo”. Evidentemente
aveva detto poco o nulla, stava solo tentando di darsi un futuro diverso
insieme con la figlia.
Si rivolse al Tar, che le diede torto, e poi al
Consiglio di Stato, che le diede ragione. Riammessa al programma nel dicembre
2007, quindici mesi dopo rinunciò lei stessa alla protezione per tornarsene a Petilia
Policastro, il suo paese. Quindi di nuovo a Campobasso, ma in una casa che il
compagno da lei denunciato aveva trovato per Denise e per lei. A novembre del
2009 avrebbe dovuto testimoniare a Firenze contro i Cosco, ma Carlo ne fece
“giustizia” prima.
C’è collaborazione e collaborazione. Ma di Lea
Garofalo si può dire che il destino fu determinato dal bisogno di proteggere la
figlia. Non sempre questo fa aggio nelle donne di mafia. Maria Serraìno ampliò
a dismisura il business, dal contrabbando alla droga benché due suoi figli e
alcuni nipoti morissero di overdose. Solo passò dall’eroina killer all’hashish
e alla cocaina.
Pentiti
Campanella
fu perseguitato per i suoi testi, ma di più per le accuse di pentiti –
dall’esame dei testi uscì sempre assolto. Il primo accusatore di Campanella fu
a Padova, all’inizio del 1594, Ottavio Longo da Barletta. Uno che, dopo diverse
peregrinazioni, si era sistemato a Padova. Dove s’era proposto a interlocutore
di discussioni teologiche con varie personalità, compreso Campanella, e il
medico Giovanni Battista Clario. Denunciato per teismo dall’Inquisizione di
Vicenza, Longo pronto trattò la liberazione promettendo la denuncia di ventotto
eretici. Era un numero alto, e Longo mise in lista tutti quelli di cui aveva sentito il nome, compreso
Campanella, e il medico Clario. Era tanto pieno della sua trovata che la
confidò a due compagni di cella. Due giovani ecclesiastici, che saranno a loro
volta condannati a dieci anni di galera, su una trireme, per reati non gravi.
Di nome Evagrio e Giovanbattista. Fu alla testimonianza dei due che Campanella
dovette un forte alleggerimento delle imputazioni.
Tre anni
dopo, Campanella fu denunciato a Napoli da un compaesano di Stilo, Scipione
Prestinace. Condannato a morte per reati comuni, Prestinace denunciò Campanella
come eretico, anche se non lo conosceva – forse per ritardare l’esecuzione, che
invece avvenne ugualmente. Anche questa volta Campanella fu assolto - ma sarà
l’ultima: si trova sempre quello che si cerca.
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