giovedì 23 maggio 2013

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (171)

Giuseppe Leuzzi

Perché Duisburg? Forse perché è un porto interno, il più grande del mondo. Alla confluenza dei fiumi Reno e Ruhr. A pochi chilometri dall’aeroporto intercontinentale di Düsseldorf. Con un quarto della popolazione turca. Non bisognava abolire la geografia. Non, almeno, nelle scuole di polizia.
Fino agli anni 1980 l’eroina arrivava, via terra, dalla Turchia. Poi è stata sostituita dalla cocaina sudamericana, via mare e via aria.

“Quando iniziarono i sequestri di persona ci fu chi restò indifferente dicendo che il fenomeno interessava solo i miliardari”. Così Andreotti può ricordare la cosa già nel 1983 (nella rubrica “Bloc Notes”, ora nell’antologia “Il potere logora”, p. 149), ma i sequestri dureranno ancora un decennio. Creando la ‘ndrangheta, la mafia più invadente. Ci furono collusioni? Non era difficile a San Luca, paese non grande, e ancora meno a Platì, sapere chi e cosa. Certo non con l’elicottero.

“Un altro mondo”, solo queste tre parole nel prolisso racconto che Marisa Merico fa della sua famiglia mafiosa (“L’intoccabile”), per dire di Cardeto, nell’Aspromonte, “San Sperato” nella narrazione, paese civile, musicalissimo, centro della “tarantella aspromontana”, dove ogni anno passava le vacanze di agosto, venendo da Milano o dall’Inghilterra. Le donne\uomini di mafia, come quelli di finanza e d’affari, sono tipi monomaniaci, unidimensionali. Hanno antenne sensibili, ma non vedono.

“Non ci possiamo lamentare”, lo scongiuro in uso per evitare di dire “sto bene”, Andreotti rileva stranamente bilanciato dalla lamentala continua, una sorta di aggressione degli altri con i propri malanni.
È un uso dunque italiano, non solo di molti linguaggi del Sud, la funzione apotropaica della parola, di scongiuro – non sfidare il destino, non scuoterlo dal torpore.

Nonché al Sud, anche in Polonia il compleanno non è, non era, gradito. Andreotti ricorda, nello stesso libro, “Il potere logora”, come dal Vaticano fosse venuta la raccomandazione di non celebrare i settant’anni di Woytiła. Che poi, dovendo parlare alla beatificazione di Pier Giorgio Frassati, si limitò a ringraziare chi gli aveva fatto gli auguri per il suo “ingresso nell’ottavo decennio”.

Donne d’onore
Le prime testimoni contro la mafia sono in Calabria le donne, le figlie. Contro lo stereotipo della donna del Sud – o forse contro lo stereotipo unificante: non tutto il Sud è Sud.
Molte di più sono però le donne che dirigono gli affari di famiglia, specie in Calabria, “rapide e invincibili”, come voleva un motto militaresco. Non se ne possono fare i nomi, ma quello di Maria Serraino basta per tutte. Giovane analfabeta di Cardeto, in provincia di Reggio Calabria, emigrata a Milano e subito regina incontestata del contrabbando prima poi della droga, con una dozzina di figli e nipoti ai suoi ordini.
Le donne sono anche i testimoni di mafia più perseguitati, fino alla morte. Tante ormai ne sono vittime. Da Rita Atria, che non resse alla strage di Borsellino, a Lea Garofalo, che nel 2002 decise di denunciare le faide tra la sua propria famiglia e quella del suo compagno Carlo Cosco. Sette anni dopo anche Lea Garofalo pagherà con la vita.
Il suo ex compagno poté tranquillamente ucciderla e scioglierla in cinquanta litri di acido. Seppure in territorio estraneo, in Brianza. E beneficiare poi di un processo ipergarantista, annullato una prima volta e rifatto per intiero, su decisione della giudice Anna Introini. Con patrocinio legale gratuito pagato dallo Stato, nella persona dello stimato professionista milanese Daniele Sussman Steinberg.

Ammessa nel 2002 al programma di protezione insieme alla figlia Denise e trasferita a Campobasso, Lea se l’era visto revocare nel 2006 perché l'apporto dato non era stato “significativo”. Evidentemente aveva detto poco o nulla, stava solo tentando di darsi un futuro diverso insieme con la figlia.
Si rivolse al Tar, che le diede torto, e poi al Consiglio di Stato, che le diede ragione. Riammessa al programma nel dicembre 2007, quindici mesi dopo rinunciò lei stessa alla protezione per tornarsene a Petilia Policastro, il suo paese. Quindi di nuovo a Campobasso, ma in una casa che il compagno da lei denunciato aveva trovato per Denise e per lei. A novembre del 2009 avrebbe dovuto testimoniare a Firenze contro i Cosco, ma Carlo ne fece “giustizia” prima.
C’è collaborazione e collaborazione. Ma di Lea Garofalo si può dire che il destino fu determinato dal bisogno di proteggere la figlia. Non sempre questo fa aggio nelle donne di mafia. Maria Serraìno ampliò a dismisura il business, dal contrabbando alla droga benché due suoi figli e alcuni nipoti morissero di overdose. Solo passò dall’eroina killer all’hashish e alla cocaina.

Pentiti
Campanella fu perseguitato per i suoi testi, ma di più per le accuse di pentiti – dall’esame dei testi uscì sempre assolto. Il primo accusatore di Campanella fu a Padova, all’inizio del 1594, Ottavio Longo da Barletta. Uno che, dopo diverse peregrinazioni, si era sistemato a Padova. Dove s’era proposto a interlocutore di discussioni teologiche con varie personalità, compreso Campanella, e il medico Giovanni Battista Clario. Denunciato per teismo dall’Inquisizione di Vicenza, Longo pronto trattò la liberazione promettendo la denuncia di ventotto eretici. Era un numero alto, e Longo mise in lista tutti  quelli di cui aveva sentito il nome, compreso Campanella, e il medico Clario. Era tanto pieno della sua trovata che la confidò a due compagni di cella. Due giovani ecclesiastici, che saranno a loro volta condannati a dieci anni di galera, su una trireme, per reati non gravi. Di nome Evagrio e Giovanbattista. Fu alla testimonianza dei due che Campanella dovette un forte alleggerimento delle imputazioni.
Tre anni dopo, Campanella fu denunciato a Napoli da un compaesano di Stilo, Scipione Prestinace. Condannato a morte per reati comuni, Prestinace denunciò Campanella come eretico, anche se non lo conosceva – forse per ritardare l’esecuzione, che invece avvenne ugualmente. Anche questa volta Campanella fu assolto - ma sarà l’ultima: si trova sempre quello che si cerca.

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