Dopo
Montalbano Berlusconi? O prima, chi ha fatto il record di ascolti? Di certo c’è
che Montalbano ha fatto il record mentre Berlusconi vinceva un’altra elezione
dal nulla. Anzi contro il nulla delle sue ali marcianti,
finiani incapaci, leghisti ladri: li ha ridotti alla ragione politica e si sono
squagliati. Sgonfiando il
pericolosissimo pallone Monti. Per nominare poi il presidente della Repubblica,
nella persona rispettabilissima di Napolitano, e il governo Letta – seppure del
nipote: la prima Grande Coalizione della Repubblica, da sempre anatema in
Italia, benché praticata da gente esperta, Germania, Austria, Olanda, perfino a
Londra, dal laburista Callaghan col patto Lib-Lab quarant’anni fa. Per vedersi poi sempre condannato, con ignominia ma a nessun
effetto, nessuno ci crede (lo crede cioè colpevole, come tutti, ma lui in un
teatrino apposito). Mentre moriva Andreotti,
il precedente recordman dei processi glamour,
fuffa.
Andreotti
Berlusconi? La differenza non è nei media,
che oggi sono sovrabbondanti rispetto a un tempo – la “mediatizzazione”.
Andreotti ne era maestro, anche se all’epoca i media erano i giornali, di poche
pagine. I suoi attacchi al generale Miceli, cioè a Moro, negli anni 1973-74 con
interviste e “documenti”, furono micidiali. Così come il suo ruolo nei dossier periodici a carico dei socialisti, nella denuncia del Piano Solo nel1968, e poi
nell’incriminazione di Cossiga per alto tradimento, e per la Gladio. E nel suo stesso ruolo di vittima, di imputato in processi drammatici, con
capi d’accusa infamanti, più volte per omicidio, e apparati di “prove” in centinaia
di migliaia di pagine, benché senza intercettazioni – centinaia di migliaia di
pagine?
È solo
in Italia che c’è la giustizia politica, dice il giudice supremo americano
Antonin Scalia e dobbiamo credergli, ma non ci dice a che fine. Montalbano lo
sa. Da buon comunista, Montalbano sa che ogni volta che la giustizia ci mette
mano è un casino. Il personaggio più popolare d’Italia sancisce immancabilmente
l’inutilità (stupidità) della Procura. Una che tutto vede, non solo a Milano
dunque, anche in Sicilia, chi l’avrebbe detto, sotto le specie del letto – si
dice politica ma è la giustizia del buco della serratura, di gusti un po’
malsani. Allo
stesso modo si svolge il teatro berlusconiano. Imputato unico, per esempio, in
un processo lunghissimo, quello Sme, in cui era l’unico sicuramente non colpevole tra i tanti possibili – e certi, noti a
tutti.
La Dc restituita
Muore
Andreotti, recordman dei processi politici,
di vecchiaia, onorato, e Berlusconi ancora resiste. I sei anni del Rubygate,
assommati ai quattro di D’Avossa, gli lasciano poco respiro. Ma gli affari gli
vanno bene – la sua Mediaset è (con Unipol) la regina di Borsa quest’anno, ha
quasi raddoppiato (come Unipol) la quotazione in cinque mesi, al solito contro
le previsioni (Unipol e Mediaset erano titoli sconsigliatissimi). E anche col suo governo Letta
– suo perché potrà affondarlo quando vorrà, le ragioni non difettano (la
recessione è un governo difficile, e quindi non gli se ne può fare colpa) – si è
tolto più di una soddisfazione. È infatti il suo sogno, ricostituire il governo democristiano: è quello che ha detto e ha
fatto da subito, occupare il centro, imporre il centro – per uno storico, se ce
ne saranno ancora dell’Italia, sarà una verità evidente. Si capisce che non
gliene importi più di niente, neanche delle condanne. Tanto più che gli sono
propiziate e inflitte da democristiani professi, lo stesso si potrebbe essere tornati alla Dc propriamente
detta, che era cannibale e assassina.
Cinquant’anni
di giustizia, dunque, per niente?Andreotti e Berlusconi sono due uomini
diversi, di due epoche diverse, e tuttavia si richiamano. Uno la caricatura del
romano di curia, l’altro la caricatura del milanese. Divisi da vent’anni, ma
come se fossero di glaciazioni diverse. Accomunati dai processi che però sono essi pure diversi:
drammatici, cupi, quelli di Andreotti, teatrali, farseschi, quelli di Berlusconi.
Andreotti accusato di assassinio, e di mafia. Berlusconi di aver scopato delle
minorenni che però dicono che non è vero, e gli sono grate, e parlano meglio
delle giudici. Tenebroso Andreotti, cialtronesco Berlusconi, dietro l’uomo d’affari
che non ne sbaglia una. L’uno maneggiatore di dossier, l’altro, si scopre,
intercettato fin nel bagno da presidente del consiglio.
La battaglia dei
populismi
Ma la popolarità richiede un altro capitolo. Di
cui nessuno dei due ha goduto, anche se hanno vinto molte elezioni e presieduto
molti governi. Andreotti ne avrebbe riso, poiché era uno scrittore, e quindi di
narcisismo chiuso – il creatore vive il suo narcisismo nel disprezzo degli
altri. Berlusconi invece se ne fa una divisa, da buon milanese, venditore, self-made man – l’imprenditore non è
come lo scrittore, è più furbo. E tuttavia non come Mussolini, sempre essendo
stato antipatico ai più, ad almeno il 60-70 per
cento degli italiani, compresi molti di quelli che regolarmente lo votano. Perché
ha una ricetta semplice. Pur confermando a ogni uscita tutte le ragioni
dell’antipatia, non si preclude un grano di saggezza: ridurre le tasse, creare
lavoro, dare forza al governo, evitare elezioni a ripetizione, una cosa così.
Tanto
(poco) basta per farne un monumento di populismo. Che non si sa cos’è, ma impera.
Non solo nella contesa politica, come si pensava, ora anche tra i filosofi. I
quali anch’essi non definiscono il populismo, ma lo usano come un randello,
anzi come un machete. C’è in atto una guerra dei filosofi, che si combatte su
Berlusconi. I posteri non ci crederanno, ma ci sono i testi. Il “Manifesto del
nuovo realismo” di Maurizio Ferraris si basa su Berlusconi, i suoi modi di
dire, “non conosco David Mills”, “non ho mai pagato una donna in vita mia”, “Napoli
pulita in tre giorni”. Gli oppositori del nuovo realismo, molto duri, anche: il
nuovo realismo, dicono, è berlusconiano. Ora, questo non era riuscito nemmeno
ai tiranni di Platone, dominare i filosofi.
Ancora più sorprendenti – berlusconiani? – gli argomenti.
Il Berlusconi “della nipote di Mubarak” voi direste populismo o non
dabbenaggine? I nemici di Ferraris dicono che “la nipote di Mubarak” è
populismo realista, cioè berlusconiano. Come tutto il resto: un marketing
filosofico, l’imposizione di un brand,
un’autopromozione. Tutte cose che Ferraris aveva imputato ai non realisti:
filosofie giornalistiche, banalizzazioni
del pensiero, “all’ombra del berlusconismo”. Un tipo diabolico allora, si direbbe
però Berlusconi – o populista è diabolico? Peccato che non sia Andreotti, si
divertirebbe moltissimo – peccato per lui.
Quanti voti non prende
Un
giorno si dirà la verità, non bisogna stancarsi di dirlo: che Berlusconi prende
meno voti di quanto dovrebbe. Una verità evidente oggi, col ritorno dela Dc, al
governo e alle elezioni. Questa è la radice del fenomeno Berlusconi, altro che
populismo: l’opinione è largamente profondamente moderata. In conseguenza della
caduta del Muro e perché la globalizzazione impone resilience, resistenza, per i paesi ricchi è come essere sfidati a
una guerra “in campo aperto”, senza più fortezze imprendibili cioè. Si dirà
quelo che è evidente, che Berlusconi è stato il tappo della destra e non il
condottiero. Si spiega così, per dire, il soviet Balduina-Parioli: i ricchi fascisti
sono incazzati con Berlusconi perché è troppo moderato. E Berlusconi prende i voti, malgrado la figura
ingessata, le gaffes e le cene, perché
ce ne sono in quantità strabocchevole. Con l’aiuto, certo, dei media, la Rai in
testa, che di un personaggio così goffo hanno fatto un martire, dei giudici
senza labbra, dei “comunisti” e di ogni altra anima bella.
“Il male minore” lo dice lo scrittore, filosofo, architetto israeliano Eyal Weizman
alla “Lettura” del 12 maggio: un governo si basa sul compromesso, “e perfino il Vaticano ha appoggiato Silvio Berlusconi
come un male minore per proteggere i valori cristiani”. Ma l’ha detto come esempio di
quella che chiama “necroeconomia”, la contabilità di quanti morti sono leciti
in una guerra. Mentre questa è una guerra speciale, in cui i contendenti si
imputano reciprocamente, e insieme si disputano, lo stesso colpevole. Di cui è
arduo decidere la giustezza. Non per il numero delle vittime - 29 vanno bene
per una guerra giusta, ha argomentato Weizman in dialogo con Zagrebelsky al festival di Torino,
quindi Berlusconi non farebbe testo, se conta per uno. Ma per il groviglio
delle intelligenze. Tutte eccelse, eccetto Berlusconi.
Ora, si
può dire Berlusconi mediocre. Senza offesa, anche la democrazia lo è. Ma gli altri?
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