mercoledì 1 maggio 2013

Coma nacque la ‘ndrangheta, tra Pci e CC

Si può cominciare dalla storia – non detta – dei Feltrinelli. Nell’Aspromonte allora reietto Bocca trova meraviglie. Tra esse le folte pinete. “Pini così fitti, così vicini l’uno all’altro, così dritti li ho visti solo in Carinzia”. Nelle ex proprietà dei Feltrinelli, che erano taglialegna all’origine e fecero fortuna coi boschi della Carinzia e dell’Aspromonte – tagliando pini, peraltro, che andavano tagliati: se sono “così fitti” è perché le pinete non sono curate, dai dieci o ventimila forestali di Calabria, sfoltite, l’albero ha bisogno di luce, di aria, le pinete sono verdi fuori e marce dentro.
“Per tredici anni il Museo di Reggio è rimasto quasi chiuso. Al sovrintendente in carica non garbava che si vedesse il lavoro fatto dal suo predecessore, teneva aperte solo le sale di Locri. Deve esserci un nuovo sovrintendente perché ora sono aperte le altre sale, ma non sono riuscito a trovare quelle di Locri…” (p.59). Ora, era nel 1992. Ora, vent’anni dopo, tutto il Museo è chiuso. Da anni. Deve sempre riaprire, ma domani – il nuovo sovrintendente non vuole rogne? Il vecchio, quello che aveva chiuso il piano di Locri, aveva assunto in qualità di uscieri, da socialista, torme di braccianti, che non parlavano l’italiano e solo si occupavano di fumare, buttando le cicche per terra. Il precedente, quello che esponeva solo Locri, obbligava a intuire le tavolette votive dietro vetrine sporche all’inverosimile. Non è possibile? È vero. Ma questo non è il Sud, i reggini ne soffrono quanto Bocca, è lo Stato al Sud.
La ‘ndrangheta, di cui si fanno ora meraviglie, nasce negli anni 1960, quindi non c’entra l’antropologia. Nasce per la rottura del patto sociale, quando i Carabinieri prospettarono “la mafia come povertà recuperabile, come pensavano i comunisti degli anni sessanta” (p. 68). Prima i marescialli prendevano i mafiosi subito, per malfattori, poi è subentrata la rottura. E i Carabinieri se ne disinteressarono, dichiaratamente. Favorendo la disintegrazione della piccola borghesia dei campi, dell’artigianato, del commercio, e anzi vessandola – un antagonismo che dura tuttora. Perfino dei sequestri di persona, delitto che si penserebbe odioso, ci sono molti segnali di condiscendente disattenzione dell’autorità. Bocca ne registra molti.
Valga la “storia dei Pesce”, la cosca di Rosarno che ora infine si processa, nel 2013, dopo infiniti lutti, e in parte ormai inafferrabile, raccontata a Bocca dall’on. Giuseppe Lavorato, del Pds (quindi nel 1992, lo stesso anno della pubblicazione di “Aspra Calabria”, dapprima su “Repubblica” poi in libro, “Inferno”). Beppino Pesce era un contadino povero, racconta simpatetico il deputato. Viveva di una guardianìa ereditata, imposta a un piccolo proprietario. E di piccoli furti e angherie, le  angherie, più che altro mirati a reimporre la guardiana (sembra la storia di Gadda in Brianza, “La cognizione del dolore”).  “Noi allora con questi mafiosi delle guardianie convivevamo. La mafia c’era ma non soffocava il paese, erano come dei cani che frugavano tra le immondizie. I guardiani come Beppino potevano anche farci dei favori, comunque non ci davano noia” (pp. 47-49). Se non che alle elezioni il governo li chiamava e li minacciava di confino. E loro muovevano gli elettori e ne controllavano le schede. La “separazione” avverrà al principio degli ani 1980: da una parte il Pci, dall’altra la mafia. I mafiosi uccideranno Valarioti, sindacalista della Cgil, per “tradimento”. E passeranno il loro sostegno, a sinistra, ai socialisti.
Ma nel mezzo non c’è il vuoto: è nata la mafia, sostituendosi ai piccoli proprietari e imprenditori, gabellati come latifondisti e affaristi dal Pci, il sindacato, i giornali, e quindi dai CC, che ”condannano” la proprietà: se hanno, pagano (dei rapiti e vessati). Fino al punto di disinteressarsi dei morti ammazzati, se di mezzo c’era la proprietà. “Il rancore sociale, la vendetta” lamenta l’avvocato Medici, cui un fratello è stato rapito e ucciso, dopo due anni di trattativa, mentre i CC gli sequestravano il riscatto a Roma, aggredendolo in via Boncompagni all’uscita dalla banca col liquido. Oscuramente all’origine della sua altrimenti incredibile persecuzione: essere isolati nelle zone di mafia è essere messi nel mirino.
Un’“industria balorda”, quella dei sequestri di persona, di cui Bocca non manca di segnalare l’assurdità, in aggiunta alla crudeltà impunita, con la mobilitazione di un paio di centinaia di persone a ogni sequestro, a costi superiori anche ai riscatti. E dove l’intervento dello Stato è sempre risolutore. In un senso o nell’altro. Il fratello dell’avvocato Giulio Medici veniva spostato con cognizione di causa: conoscenti riconoscenti si offrivano di guidare di notte, incappucciati, i Carabinieri sui covi. Dove “cibi furono trovati ancora caldi, indumenti, catene”. Ma non il sequestrato. Mentre “la ragazza Ghidini, famiglia di tondinari di Lumezzane, bresciani”, nel 1992, fu liberata appena rapita, perché suo papà aveva minacciato di far votare a Brescia la Lega Nord. Lo stesso era avvenuto quando il papà di Celadon, dopo due anni di lungaggini, aveva dichiarato lo sciopero politico nel suo paese. A volte basta poco per ristabilire l’ordine.
Negli stessi anni nella Asl di Gioia Tauro si assumevano come personale d’ordine fuori concorso, “per lavori di facchinaggio”, laureati e diplomati, figli e nipoti di mafiosi e di ufficiali dell’Arma in “posizioni di comando o di responsabilità”. Ma tante cose si rincorrono nelle poche pagine, di questo colossale libriccino. Di verità scomode che, forse per questo, sono passate insolitamente ignorate nella vasta produzione di Bocca. Una rappresentazione della Calabria in poche pagine come nessun altro. E una capacità di “vedere” viaggiando di grande perspicacia. La classicità vuota, per esempio, in un mondo senza storia.
Bocca incontra anche molta gente di valore. Che non finirà bene. Il giudice Misiani, per esempio, che poi sarà vittima della giustizia ambrosiana. O il sindaco di Gioia Tauro Vincenzo Gentile, alle pp. 30-32, “medico di fiducia” della cosca dei Piromalli, “un uomo cortese, afflitto più che arrogante”, fatalista. Che un giorno non firma un mandato di pagamento per uno della cosca, e il giorno dopo viene assassinato. A chi si sarebbe dovuto rivolgere Gentile?
C’è anche il suo vecchio amico, il sempre utopista realista Giacomo Mancini, che alla fine, quando vede quanti mafiosi ci sono tra i socialisti, riesce a non farsi eleggere. Manca la storia successiva, in cui Mancini, vittima della mafia, viene processato a Palmi per mafia. Da 28 pentiti che al processo si squagliano. Dalla Procura di Agostino Cordova, che Bocca qui eleva a suo eroe, un po’ come Dalla Chiesa. Di cui afferra il tratto autoritario (il Procuratore era del Msi), ma non lo dice. Però, non si può pretendere tutto da Bocca.
Giorgio Bocca, Aspra Calabria, Rubbettino, pp.75 € 7,90

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