martedì 7 maggio 2013

Fisco, appalti, abusi – 28

Il patrimonio edilizio dello Stato vale almeno 200 miliardi – il doppio con quello degli enti locali. Ma non si può “valorizzare”, se non utilizzandolo come uffici dei ministeri e le Agenzie indipendenti.
Molti gli edifici e le aree in disuso, caserme, aeroporti, arsenali, ex uffici: circa la metà del patrimonio. Non si possono dismettere e non se ne può cambiare la destinazione d’uso.

A fronte di questi miliardi di metri cubi inutilizzabili, il governo prende in affitto ogni anno diecimila immobili. Al costo di 1,2 miliardi l’anno. Lucro cessante, danno emergente, in diritto sarebbe un crimine..

Il costo degli affitti si reputa il doppio, conteggiando anche quelli delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Anch’essi proprietari di un patrimonio sconosciuto, tanto è enorme. Se ne danno stime perché non si riesce a farne il conto.

Molti palazzi storici, a Roma, Firenze, Napoli, Torino, e altre città, sono adibiti a rappresentanza. Dei comandi provinciali, regionali o cittadini dei Carabinieri, per esempio. Con spese di mantenimento abnormi rispetto a un edificio moderno razionale.

Circa 100 mila sono gli appartamenti a proprietà pubblica in affitto popolare. I cui costi sono ogni anno maggiori degli introiti. Vari progetti per la retrocessione degli stessi agli inquilini, a condizioni di prezzo e di credito di favore, sono stati bocciati in sede politica o dai Tar.

Il patrimonio del Comune di Roma ammonterebbe a 40 mila unità. Quasi tutte in zone di pregio. Il condizionale si usa perché il Comune non sa che cosa possiede. E non fa pagare l’affitto o lo fa pagare a canoni storici. Ogni tentativo di farne un censimento è stato fatto fallire.

L’ultimo portò all’incriminazione della giunta Carraro e di tutti i consiglieri di maggioranza da parte della giudice Gloria Attanasio, finiana, allora usava, a ottobre del 1992: 44 persone. Per un processo che poi non si fece, il gip si disse scandalizzato dall’insussistenza del reato.

La giudice Attanasio incolpava la giunta di pagare costi gonfiati alla società Census, che conduceva il censimento. Tanto le bastò per ottenere la decadenza della giunta. Il primo atto del commissario Canale fu di abrogare l’appalto. Pagando alla Census come penale più di quanto l’appalto prevedeva.

Angelo Canale, ora alto magistrato della Corte dei Conti, sarà assessore al Patrimonio della giunta Rutelli, che venne dopo il commissariamento. In tale veste diede la gestione dell’immenso ma sconosciuto patrimonio capitolino a Alfredo Romeo. Un imprenditore napoletano, da cui ebbe regalie.

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