Il costo
dell’energia a uso industriale è nell’Europa dell’Est, dalla Serbia (paese
chiuso) alla Polonia, la metà che in Italia. In Germania è inferiore del 20 per
cento.
Un
quarto della bolletta elettrica in Italia sono le accise a favore delle energie
rinnovabili. Senza effetto sull’inquinamento, ma a favore di un’“industria
delle accise” stesse.
Le legge
impone agli enti previdenziali, per bilanciare l’inflazione, investimenti in
immobili e altri cespiti patrimoniali “solidi”. Di cui tassa però le
plusvalenze, al 20 per cento. Caso unico in Europa.
Poniamo
che dal Parco dell’Uccellina, dove sono stati trasferiti e allevati – prima non
ci sono mai stati – per costituire la cosiddetta catena ecologica, i lupi
sconfinino altrove tutt’attorno. E vi uccidano le pecore. Non è la più grande
disgrazia, è la prima di una serie. Bisogna fare una denuncia ai carabinieri e
anche alla Asl. Bisogna aspettare la visita dell’anatomopatologo che sancisca
le cause della morte. Bisogna perimetrare, scavare e cementare dei loculi per
una sorta di piccolo cimitero. Dopodiché seppellire e coprire le carcasse.
Perché
la catena ecologica si limita a lupi, cinghiali, daini, vipere e cornacchie?
Non ci sono allevamenti di altri animali da foraggiare?
Il
custode della multiproprietà rifiuta la bolletta di Eni Gas & Power perché
“i signori non hanno il gas”. Creando i soliti problemi, di luce tagliata etc,
di cui pare non ci si possa più lamentare perché la privatizzazione li ha resi
correnti. Eni avrebbe dovuto mandare la fattura all’indirizzo di residenza,
come da contratto, ma questa è inefficienza trascurabile. Però: perché non si
chiama Eni Gas & Elettricità? Tanto più che è un’azienda solo italiana.
I
prepensionamenti si fanno a carico dello Stato. L’Inpgi, istituto di previdenza
dei giornalisti, calcola che dai 12i trattamenti in essere nel 2009, i
prepensionati sono cresciuti di 226 nel 2010, di 138 nel 2011 e di 95 nel 2012.
Per un totale di 471. Di cui 459 in solo tre anni.
I
prepensionamenti sono stati disposti a favore delle aziende più ricche del
settore, la Rcs e Repubblica-L’Espresso, previo riconoscimento dello stato di
crisi da parte del ministero del Lavoro, benché abbiamo continuato a pagarsi un
dividendo. Con una spesa per lo Stato di 43 milioni.
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