lunedì 20 maggio 2013

I belli-e-buoni malati di reazione

L’élite di natura borghese e liberale era in realtà romantico-reazionaria. Come Joyce, Kafka o Thomas Mann, o il “tetro monito” di Proust, sono venuti ad alimentare un “senso di potere e di spregiudicatezza” – non c’è bisogno di guardare lontano, bastano i vicini. L’uomo-eroe di se stesso come “un avaro di romanzo”, che il “patrimonio dell’esistenza” si costituisce non come sommatoria, di bene e di male, ma come “memoria di «momenti» in sé e per sé” – tutti esteti. “La cavalleria dei grandi studiosi” ridotta a donchisciotti, non di più. Il “mistero della élite” fermato da James e Proust, supremi detective, al nulla, alla “soglia di un magico nulla”. Un passato sempre presente – un’occasione storica perduta.
“Oggi ricordiamo l’élite soprattutto per quanto essa rappresentava di mediocre e di equivoco”. Ma “lo snobismo, orribile  lemure che striscia presso il leggiadro fantasma della élite, presiede ancora, in mille paradossali reincarnazioni, alle relazioni sociali della civiltà di massa”. Basta smanettare, anche poco, sulla rete. “L’élite non è l’ultimo dei motivi per cui il principio individuale, gloria della civiltà d’Occidente, sta per cedere il posto a un sistema di caste, che non è certo il miglior contraltare da opporre alle dubbie democrazie che nascono sui conformismi asiatici”. Le caste, già.
Un pamphlet che ha venticinque anni, ma niente è cambiato, se a élite si sostituisce la società civile, i belli-e-buoni della nazione.
Elena Croce, Lo snobismo liberale

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