Una reductio ad Hitlerum dice Lorenzo Magnani il “nuovo realismo”. Con una semplificazione cioè, del tipo “stronzo!”, “fascista!”, un’invettiva spenta, all’età del gossip, il linguaggio senza peso, sulla filosofia invece che su Ruby. Analoga a quella che intende criticare, di Maurizio Ferraris. Ma più esatto sarebbe dire una reductio ad Berlusconem, poiché di questo gli uni e gli altri si accusano, di essere berlusconiani, in aspetto di populisti - si libellano anche, reciprocamente, negazionisti (dello sterminio degli ebrei), ma per fortuna poco. “Il populismo in filosofia è una banalizzazione del pensiero che mira a riscuotere il consenso del vasto pubblico”, dichiarano al primo rigo. E anche: il populismo è “il doppio osceno” della popolarizzazione. Devono aver fischiato le orecchie ai realisti, che tre giorni fa hanno celebrato i loro fasti internazionali in una due giorni alla terza universita romana. Ma è una lotta comune, fratricida, per il popolo, il moraviano andare “verso il popolo”. Anche se questi filosofi, tutti rigorosamente antipopulisti, non sanno venirne a capo – sono sicuri che Berlusconi è un populista, ma non sanno cos’è il populismo.
Uno è tentato di fermarsi alla prima pagina, al primo rigo. Ferraris non è uno che scrive brillante. No, è un populista, “di quel populismo mediatico che ha dominato in Italia ed è un tipico prodotto nostrano” – “ha dominato” e ora non più? tipico? nostrano? prosa malapartiana, battibecchiana. “Animato da propensioni demagogiche, attraversato da una vena autoritaria, anche nelle sue vicissitudini storiche il populismo si rivela dogmatico e a tratti intollerante. Denuncia l’avversario, o meglio, il nemico, e chiede il plauso al popolo accattivandoselo”. Il nome è pronunciato alla fine, proprio al penultimo rigo, Travaglio. Con “un certo giornalismo d’inchiesta che evoca in modo ingenuo i fatti e che negli ultimi anni, in Italia, è stato l’unico discorso”. Simone Regazzoni, malgrado tutto, fa centro su un certo giornalismo. Ma il realismo? Travaglio dopotutto è un giornalista. Non un populista cioè, tanto meno un filosofo – o ha fatto domanda a cattedra?
Non sarà invidia? L’ambizione sembra a scrivere un fondino, magari sulla “Repubblica” locale, un corsivo, un battibecco. Donatella Di Cesare, che è filosofa di suo, vice-presidente in Germania della “Società di Martin Heidegger”, avrebbe un’arma in più contro Ferraris, la “filosofia globalizzata”, e se la lascia sfuggire. La globalizzazione non è anch’essa da esorcizzare, insieme col populismo? E forse è peggio che una disattenzione: non essendoci qui Berlusconi di mezzo, entrambi i fronti se ne fanno bandiera, accusando l’altro di provincialismo. Magnani, che è uno degli autori del libro (sono sei e non tre), il populismo propone di definire oclocrazia, alla maniera di Polibio: la politica che si fonda sulla “corruzione delle masse”. Ahi, ahi. Non c’era nemmeno la televisione, al tempo di Polibio, con cui prendersela.
Più che del realismo, resta una contesa dei populismi, naturalmente critici. E delle rane, anche, volendolo, nonché della secchia rapita, con un che di patriottico cioè. Nulla di male, se ne fanno anche in Germania, sotto il nome di Streit, degli storici, delle facoltà. Ma un po’ di realismo, per dire, non guasterebbe. Per esempio dei media: una teoria dei media? E dell’università? A parte i soldi che mancano – ma i soldi non bastano mai (anche questo sarebbe un argomento, il debito, o è troppo realista?). E del populismo? Non sarà esso la stessa “società civile” che blatera contro, in nome di una superiorità morale che alla prova sempre latita? Al coperto delle insolenze dei giudici, la casta per eccellenza.
Un minimo di riflessione sulla loquela giornalistica sarebbe stato necessario anche per fare meglio la critica del realismo. Questi critici invece, come i loro nemici, lo riducono alla mediatizzazione. Cioè alla realtà del “Truman Show”, di telegenia, fiori finti e ragionamento corto. Entrambi i fronti si propongono di vincere così, con la frase breve e l’appeal. Ferraris per Regazzoni è un po’ Berlusconi, un po’ Stalin. Uno squarcio che un giorno bisognerà andare a vedere, la crisi politica italiana – di questo si tratta - è tutta “post Muro”. Ma il filosofo la usa a mo’ di pernacchia. Sembra Totò.
Un minimo di riflessione sulla loquela giornalistica sarebbe stato necessario anche per fare meglio la critica del realismo. Questi critici invece, come i loro nemici, lo riducono alla mediatizzazione. Cioè alla realtà del “Truman Show”, di telegenia, fiori finti e ragionamento corto. Entrambi i fronti si propongono di vincere così, con la frase breve e l’appeal. Ferraris per Regazzoni è un po’ Berlusconi, un po’ Stalin. Uno squarcio che un giorno bisognerà andare a vedere, la crisi politica italiana – di questo si tratta - è tutta “post Muro”. Ma il filosofo la usa a mo’ di pernacchia. Sembra Totò.
Inutile chiedersi che ne direbbe Roscellino. Diciamo un vero filosofo. Anche Kant, pure lui nella contesa strattonato, reduce da quella delle facoltà. Uno scontro avulso dalla storia (realtà?) – cui invece il comune nemico dei due fronti è evidentemente sensibile, poiché ne sa più di loro (Ferrara beffardo lo aveva già detto subito, in breve, sul “Foglio” del 21 agosto 2011).
Donatella Di Cesare, Corrado Ocone, Simone Regazzoni, Il nuovo realismo è un populismo, il melangolo, pp. 106 € 12
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