sabato 25 maggio 2013

I padri, meglio perderli – non tutti

Non ci sono più padri, per l’eterologa che li ha resi superflui anche fisiologicamente, e non ci sono più neanche le madri, presenza al più di letto, quando se. La famiglia è finita, la procreazione finirà presto con la clonazione. Giulia Rusconi è nata giusto in tempo per testimoniare la mutanza. Si parte dall’“Eloì, eloì, lemà sabactàni” dell’esergo, l’evangelico “padre, perché mi hai abbandonato?”, e si arriva al “pezzo mancante,\ della casa, delle cose” – anche se da qualcuno lei “non divorzia”.
Una testimonianza dunque a futura memoria? I replicanti la troveranno pregna fonte storica: i padri volatili “insegnano”, le madri “stanno manchevoli”. Ma in un teatro quasi ubuesco – in “un presente transgender” dice Anna Maria Carpi in introduzione. Padri veri e naturalmente immaginari, sdoppiati o fantasmizzati – la ventenne Giulia se ne trova ingravidata come una matrioska. A partire d’“Al mio padre, «il numero tredici»” della dedica, “l’affidato, il preoccupato, l’ottuso”. Autenticati dalla fantasia, come si deve.
 “Tema insolito, persino raccapricciante”, lo vuole Anna Maria Carpi. Per l’entusiasmo di Enzo Golino, del “Sole 24 Ore”, di Rai educational, e di Citati. Rusconi fa a meno della sofferenza che ogni giovane esibisce, di un’esperienza ancora non vissuta. Narrativamente aperta agli stimoli che vengono dalle cose. Gli eventi.
Una plaquette di feroce allegria. Che la tradizione giocosa e burlesca della poesia, tanto fertile ma da secoli dismessa, risuscita al femminile – Niccolai, Cavalli, e ora Licata, Rusconi? Dove l’autentico non si cerca nella sofferenza – sono ladro per esser povero, etc. – ma nell’invenzione. Di una poesia che è finzione che si accetta. E allora tanto più vera: dice, attrae, innova.
Giulia Rusconi, I padri, Ladolfi, pp. 49 € 10

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