domenica 12 maggio 2013

La manutenzione del grottesco

Curioso libro in due tempi. La riedizione rimpolpa la raccolta con tre racconti, in aggiunta ai sette di dieci anni prima, che però ne rigenerano la lettura. Con un effetto esorcistico sui precedenti: la piccola borghesia di maniera della raccolta iniziale (lo statale che va al lavoro per non lavorare, i vicini che si mettono in affari e fatalmente finiscono male, il cornuto moderno che capisce la moglie, la trasformazione di Caserta e della Terra di lavoro in un deserto urbano…) escono dalla dolenzia quasi neorealistica, l’ananke di Pasolini, l’uggia moraviana, per portarsi all’altezza (quasi) di Gadda, insuperato umorista del genere - o meglio di Svevo, la narrazione contestualizzandosi di preferenza in rapporto al sé-narratore, nella forma dell'“autobiografia travestita” (Magris). Pascale, che ha scrittura vera di grana fine, vince la sfida col reale (l’ordinario), e diverte oltre che divertirsi. Sempre sottilmente. “Noi che parliamo da soli” siamo avvinti a “una distorsione informativa”. Come in fisiologia, dove “gli immunodepressi sono aumentati, il nostro sistema immunitario non sa più un polline da un virus, o attacca parti del suo stesso corpo”. Mentre siamo depressi non-immuni, di un’intelligenza che immobilizza.
I precedenti racconti, che si presentavano come esercizi di bravura, si rileggono trasfigurati. In “Stai serena”, il nuovo racconto lungo che fa da specchio a quello iniziale del titolo, del cornuto comprensivo, la fedifraga si libera filosofando la propria dipendenza - assoggettata a dimenarsi di bocca e di chiappe mentre l’amante se ne sta disteso, averla apostrofata “puttana” o “troia” è tutto. I tre racconti aggiunti esprimono il grottesco, prima soffocato dallo sdegno (moralismo) o politicamente corretto. In modo subliminale, con costante dominio della misura (linguaggio). Da sottile (arguto) anatomista del parlato, un tempo si sarebbe detto del vissuto. Che come tutto in Italia è mobile e immutabile.
“Noi che parliamo da soli” è l’ultimo dei tre racconti che rinnova la raccolta. L’Altare della Patria a piazza Venezia a Roma, che Pascale sceglie a pietra d’inciampo dei vani soliloqui, era stato già scelto da Carlo Dossi un secolo esatto prima, un altro inquirente dei linguaggi aulici che sommergono l’italiano. Pascale è altrettanto tosto ma è lieve (misurato). In esso si fa rimproverare da “Vincenzo Postiglione”, il personaggio suo alter ego, “il grottesco italiano”, come quello che preferisce “la maschera alla persona, la situazione estrema a quella quotidiana,… il blocco compatto alla sfumatura”. Vuole dirci che ha fatto il contrario, e l’ha fatto – uscendo anche, un po’, dalla metaletteratura (dei maestri di scuola? delle scuole di scrittura? da dove origina l’infezione?).  
Antonio Pascale, La manutenzione degli affetti, nuova ed., Einaudi, pp. 183 € 10 

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