Inno,
epopea, dramma
La poesia evolve: “In presenza delle meraviglie che la affascinano
e la inebriano, la sua prima parola non è che un inno… La sua lira non ha che
tre corde: Dio, l’anima, la creazione… Questo poema, questa ode dei tempi primitivi”,
è la Genesi”. Poi “la religione prende una forma: i riti regolano la preghiera,
il dogma viene a inquadrare il culto”. Alla “comunità patriarcale succede la società teocratica”. Ma i poli, nello steso
tempo, stanno stretti, e si fanno guerra. È il tempo dell’epopea. Ache in forma
tetrale, la poesia antica è “grandiosa, pontificale, epica”. Poi viene il
Cristo, e tutto cambia.
Ridotto alla cronologia, il saggio del giovane Hugo perde tre
quarti del suo fascino. Che è fatto di sintesi, intuizioni, lampi, a diecine, a
centinaia, ogni riga, ogni mezza riga. La religione diventa spiritualista. La
società individualista. Nasce e si diffonde, democratico, “lo spirito d’esame e
di curiosità”. Nasce la “commedia”, il dramma. Il dramma sarà la forma espressiva della nuova civiltà: “Il cristianesimo
porta la poesia alla verità”. O altrimenti: “Essere incompleto sarà il mezzo di
essere armonioso”, il grottesco è la forma espressiva.
Grottesco
Non è che prima non ci fosse, “niente viene senza radice”. In
Omero ovunque, Eschilo, Sofocle, Euripide. Ma vicino a questi colossi, “che
sono Aristofane e Plauto?” Tra i moderni, “al contrario, il grottesco ha un
ruolo immenso: è ovunque,: da una parte crea il difforme e l’orribile, dall’altra
il comico e il buffone. Attaccando attorno alla religione mille superstizioni
originali, attorno alla poesia mille immaginazioni pittoresche”. Con l’inferno cristiano, “che evocherà l’aspro
genio di Dante e Milton”. Con le maschere, sconosciute “alla grave antichità”,
e “tuttavia uscite dalla classica Italia”. Fino al punto di dare, al suo
contatto, “al sublime moderno qualcosa di più puro, di più grande, di più
sublime del belo antico”. Definirlo è inutile – è limitarlo: “”Come obiettivo
presso il sublime, come mezzo di contrasto, il grottesco è, secondo noi, la più
ricca sorgente che la natura possa aprire all’arte”. S’impone con tre “Omeri
buffoni: Ariosto in Italia, Cervantes in Spagna e Rabelais in Francia”. Finche “un
uomo, un poeta re, il poeta soverano, come Dante dice di Omero,
fissa il tutto”: Shakespeare.
Profondità
e rilievo
Al centro ci sono Vico e Rousseau. Che Hugo non nomina, ma affina riassumendo:
“La società comincia col cantare ciò che sogna, poi racconta ciò che fa, infine
si mette a dipingere ciò che pensa”. È questo che fa la forza del dramma, che
viene per ultimo: “Unendo le qualità più opposte, può essere insieme pieno di profondità
e pieno di rilievo, filosofico e pittoresco”. Discutibile: Shakespeare, il
dramma, come un culmine (“il dramma è la poesia completa”, “”è al dramma che
tutto viene a confluire nella poesia moderna”). Ingegnoso: “L’arbitraria
distinzione dei generi crolla presto davanti alla ragione e al gusto”. Contro
le unità di tempo e di luogo: quattro ore possono contenerne quarantotto – o una
vita. Per l’unità d’azione: “Né l’occhio né lo spirito umano saprebbero afferrare
più di un insieme alla volta”. Contro il misoneismo, quello del non sono più i
tempi di una volta: “I nomi dei morti sempre sbattuti in faccia a quelli che
vivono: Corneille lapidato con Tasso e Guarini (Guarini!), come più tardi si
lapiderà Racine con Corneille, Voltaire con Racine”. Con uso disinvolto, sempre appropriato, dell’italiano
e dello spagnolo – all’inizio un emozionante “Che sarà, sarà”, quelo di Marlowe, “Doctor Faustus”,
I, 1.
Victor
Hugo, Cromwell, Préface, La
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