domenica 5 maggio 2013

La modernità è grottesca

“Cromwell” è un dramma – una commedia? – che V. Hugo pubblicò nel 1827, a 25 anni. Irrappresentabile, per la lunghezza (6.920 versi), per l’impianto, a metà affresco storico dell’Inghilterra di metà Seicento e a metà ritratto di Cromwell, il Lord Protettore (si ricorda una sola messa in scena, nel 1956, in versione ridotta), per il tema (Hugo non si sente di dare ragione al suo “eroe”). La prefazione è invece ritenuta uno dei testi chiave del “romanticismo”, seppure tardo. Una sorpresa, ancora dopo quasi due secoli. Una scatola di meraviglie, per un passionale come Hugo. Una stilistica che fa giustizia del postmoderno, opera di un giovanotto, non del mestiere.
Inno, epopea, dramma
La poesia evolve: “In presenza delle meraviglie che la affascinano e la inebriano, la sua prima parola non è che un inno… La sua lira non ha che tre corde: Dio, l’anima, la creazione… Questo poema, questa ode dei tempi primitivi”, è la Genesi”. Poi “la religione prende una forma: i riti regolano la preghiera, il dogma viene a inquadrare il culto”. Alla “comunità patriarcale succede  la società teocratica”. Ma i poli, nello steso tempo, stanno stretti, e si fanno guerra. È il tempo dell’epopea. Ache in forma tetrale, la poesia antica è “grandiosa, pontificale, epica”. Poi viene il Cristo, e tutto cambia.
Ridotto alla cronologia, il saggio del giovane Hugo perde tre quarti del suo fascino. Che è fatto di sintesi, intuizioni, lampi, a diecine, a centinaia, ogni riga, ogni mezza riga. La religione diventa spiritualista. La società individualista. Nasce e si diffonde, democratico, “lo spirito d’esame e di curiosità”. Nasce la “commedia”, il dramma. Il dramma sarà la forma  espressiva della nuova civiltà: “Il cristianesimo porta la poesia alla verità”. O altrimenti: “Essere incompleto sarà il mezzo di essere armonioso”, il grottesco è la forma espressiva.
Grottesco
Non è che prima non ci fosse, “niente viene senza radice”. In Omero ovunque, Eschilo, Sofocle, Euripide. Ma vicino a questi colossi, “che sono Aristofane e Plauto?” Tra i moderni, “al contrario, il grottesco ha un ruolo immenso: è ovunque,: da una parte crea il difforme e l’orribile, dall’altra il comico e il buffone. Attaccando attorno alla religione mille superstizioni originali, attorno alla poesia mille immaginazioni pittoresche”.  Con l’inferno cristiano, “che evocherà l’aspro genio di Dante e Milton”. Con le maschere, sconosciute “alla grave antichità”, e “tuttavia uscite dalla classica Italia”. Fino al punto di dare, al suo contatto, “al sublime moderno qualcosa di più puro, di più grande, di più sublime del belo antico”. Definirlo è inutile – è limitarlo: “”Come obiettivo presso il sublime, come mezzo di contrasto, il grottesco è, secondo noi, la più ricca sorgente che la natura possa aprire all’arte”. S’impone con tre “Omeri buffoni: Ariosto in Italia, Cervantes in Spagna e Rabelais in Francia”. Finche “un uomo, un poeta re, il poeta soverano, come Dante dice di Omero, fissa il tutto”: Shakespeare.
Profondità e rilievo
Al centro ci sono Vico e Rousseau. Che Hugo non nomina, ma affina riassumendo: “La società comincia col cantare ciò che sogna, poi racconta ciò che fa, infine si mette a dipingere ciò che pensa”. È questo che fa la forza del dramma, che viene per ultimo: “Unendo le qualità più opposte, può essere insieme pieno di profondità e pieno di rilievo, filosofico e pittoresco”. Discutibile: Shakespeare, il dramma, come un culmine (“il dramma è la poesia completa”, “”è al dramma che tutto viene a confluire nella poesia moderna”). Ingegnoso: “L’arbitraria distinzione dei generi crolla presto davanti alla ragione e al gusto”. Contro le unità di tempo e di luogo: quattro ore possono contenerne quarantotto – o una vita. Per l’unità d’azione: “Né l’occhio né lo spirito umano saprebbero afferrare più di un insieme alla volta”. Contro il misoneismo, quello del non sono più i tempi di una volta: “I nomi dei morti sempre sbattuti in faccia a quelli che vivono: Corneille lapidato con Tasso e Guarini (Guarini!), come più tardi si lapiderà Racine con Corneille, Voltaire con Racine”. Con uso disinvolto, sempre appropriato, dell’italiano e dello spagnolo – all’inizio un emozionante  “Che sarà, sarà”, quelo di Marlowe, “Doctor Faustus”, I, 1.
Victor Hugo, Cromwell, Préface, La bibliothèque libre online

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