Una cosa invece Kahdra dice, sceneggia e spiega, che
nella grassa grossa Europa che solo vuole morire non si sa e non si capisce:
che l’africano ha la pelle dura. Per quanto denutrito e malato, sopravviverà,
la volontà di vita vi è superiore. È quello che una sorella della neo-ministra
Kienge, Dora, spiega oggi a Tricia Thomas:
“È
stata sempre una combattente, da quando è nata. Sì, quando era una bambinetta
di pochi mesi pensarono che fosse morta, e invece no, combatté e vinse, l’ha sempre
fatto”..
In bizzarro parallelismo con Camilleri, che ha
pubblicato e raggiunto il successo negli stessi anni dello scrittore algerino,
c’è anche in “Yasmina Khadra”, l’ex colonnello dell’esercito Moulessehoul, un sensibile
sfasamento con le opere “altre”, di ambizione letteraria: storiche, politiche,
sociali. Il commissario Llob fila come il vento, come Montalbano, inerme e
decisivo. Tanto più contro le incertezze, la pesantezza anche, delle opere
costruite, mediorientali, africane.
Yasmina Khadra cede qui al cosmopolitismo pidgin che opprime l’Africa, umanitario
quanto si vuole ma afflittivo. Le vittime, due tedeschi e un francese, fanno
lunghe conversazioni tra di loro e con i predoni dell’Est Africa, elaborate
anche, sulla violenza, l’imperialismo, la fame, il deserto, la poesia, la religione. Fanno dottrina. In
una lingua di nessuno, pidgin in senso proprio. In un linguaggio inerte tanto è inverosimile. Come se l’Africa,
che certamente è un continente pieno di sorprese, come lo voleva Erasmo di
Rotterdam, si vendicasse dell’attenzione-disattezione umanitaria – essendosi già
tolto lo sfizio di nutrire narrazioni ben più memorabili.
Yasmina Khadra, L’equazione africana,
Marsilio, pp. 320, ril. € 19
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