venerdì 24 maggio 2013

L’amore romantico è possessivo

Un uomo sempre inquieto nell’amore, sempre insicuro di sé, benché accreditato di fascino e molte storie - a partire dalla sorella Lucile, l’amore su cui s’impernia “René”, il primo romanzo, primo pure del romanticismo e dell’Ottocento (lei lo chiamava “l’incantatore”). Qui se lo dice anche. Solitario da ragazzo. Inquieto da grande, “un’inquietudine insormontabile turbava i miei piaceri”. Infine cattivo: “Assistevo alla felicità delle nuove generazioni… e ne provavo impeti di nera gelosia; se avessi potuto annientarli, lo avrei fatto col piacere della vendetta e della disperazione”.
“Confessione delirante” Sainte-Beuve ddefinì questi punti pubblicandoli nel 1862, e come tale furono a lungo conosciuti. Una quindicina di fogli autografi, poi ribattezzati “Canti di tristezza”. Più una pagina trascritta da un segretario, che in sede critica è stata valutata come un appunto per una riedizione di “René” e titolata “Un vecchio René”. Ma in realtà trasfusi nella “Vita di Rancé”, spiega Ludovica Cirrincione d’Amelio che questa pubblicazione cura, in originale e traduzione: sotto la specie di un’agiografia del fondatore della trappa, l’abate di Rancé, la sua ultima opera, Chateaubriand monta una “grande orchestrazione di silenzio e di morte”.
Un addio alla vita, così l’attivissimo scrittore visse la vecchiaia. E tuttavia possessivo, retrospettivamente ma anche nel suo attuale stato: non può concepire un amore che non sia assoluto, intollerante d’un solo sguardo distratto. Una vecchiaia amara ma non di rinuncia: è la pena del romanticismo eterno.
François-René de Chateaubriand, Amore e vecchiaia, Robin, pp. 71 € 5

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