Questa prima parte ha un curioso effetto
boomerang. Si sa, si avverte, è pure inevitabile,
passato il pericolo sovietico, viene anzi detta, un’ansia corrente in Germania
di revisionare la storia della guerra e dello sterminio. Qui anche esplicitato, seppure in nota
(p.169): “Chiunque cercasse la singolarità nel crudele e nell’atroce dovrebbe
esplicitare a se stesso come solo le condizioni del dopoguerra abbiano messo
temporaneamente fuori gioco i principio del «tu quoque» o del «tu prius»”.
In chiaro: la divisione del mondo, dell’Europa e della Germania in due ha
impedito a lungo l’attribuzione delle corresponsabilità della guerra e della sue
atrocità, se non della colpa originaria – il gioco irresolubile dell’uovo e
della gallina, e dei topi tutti grigi.
In quanto storico
accurato, Nolte non teme di esporsi su questo fronte, di flirtare col
revisionismo. Il negazionismo in cui Nolte si cimenta,
compassionevole, è il più pernicioso. Sembra insidioso, ma è assurdo. Egli
stesso si costringe da un lato ad argomentare la confusione (delle autorità, delle procedure) nel
totalitarismo che contesta, dall’altra pretende una non credibile rigidezza
dell’ordinamento carcerario: “Nessun comandante dei lager poteva di sua iniziativa
comminare anche una sola pena corporale, ma doveva chiederne l’autorizzazione a
Berlino e , quando si trattava di donne, doveva essere il capo delle SS a
concedere personalmente questa autorizzazione” (p. 162). Ingenuità?
Un universo chiuso, in cui ci sono solo
la Russia, la Germania e gli ebrei - per metà russi per metà Usa, da ultimo
nella forma di Israele. A p. 177 un excursus impressionante vede soltanto la
Germania in Europa. In polemica non dichiarata con Fritz Fischer, lo storico suo
contemporaneo, che ha accertato la responsabilità decisiva della Germania nella
grande Guerra (“Assalto al potere mondiale”), e accettandone curiosamente questo presupposto, Nolte lo ribalta
in una sorta di inno trionfale: “Il Reich tedesco era la potenza europea di
gran lunga più forte e meglio organizzata”, etc., etc. E avrebbe vinto non ci
fosse stato l’intervento Usa. Avrebbe anche portato all’“unificazione dell’Europa
continentale sotto la guida del suo Stato più forte”, a una unione non imposta
e quasi benvoluta. Non fosse stato sempre per gli Usa: “L’entrata in guerra
degli Usa costituì invece il presupposto per un orientamento contro la Germania”,
etc. Da cui tutti i lutti: Versailles, il revanscismo, Hitler. L’effetto è di finire ributtati sulla prima versione del
nazismo e della sua guerra, quella della propaganda e di Norimberga.
Ciò
è vero, per questo aspetto, anche della seconda parte della
raccolta: la guerra sconsiderata all’Urss (occupare l’Urss….), è una sorta di
gigantesco harakiri, da propaganda da
quattro soldi. Una storia “nuova” (accurata, vera) si può fare solo ammettendo
la Colpa, l’unità (la follia, la vergogna) della guerra e dello sterminio.
Altrimenti ci si arrampica sugli specchi: se la Soluzione Finale non sia
piuttosto Complessiva. O Radicale. E se – sfidando il ridicolo – la morte per asfissia,
producendosi in pochi secondi, non sia più misericordiosa di quella dolorosa
per fame (magari con testimonianze a sostegno di ebrei eccellenti, come il
Nobel Brodskij, sulla morte per fame nel gulag). O se per la ferocia delle Einsatzgruppen, specializzate nelle retate
di polacchi, ebrei e russi, che poi falciavano col mitra, “i concetti più
adeguati di tutti non sono «massacro» o «assassinio», ma «reazione preventiva
esagerata», oppure «sproporzione dei mezzi»”. Per non dire della teoria che vuole
i commando omicidi una reazione alla deportazione dei tedeschi del Volga – che dopo
la guerra riapparvero com’erano.
Su questa seconda parte, però, centrale in
questa edizione, la “provocazione” di Nolte, pur scontando i diversi background e le antagonistiche finalità
di Lenin e di Hitler, è ancora utile - “Il postulato fondamentale di Hitler: un
antibolscevismo «bolscevico»”. Non è una novità storiografica. Era il punto di
vista, tra gli altri, di Hjalmar Scacht, il banchiere che salvò il marco,
lanciò il New Deal con la piena occupazione, e riarmò la Germania di Hitler, il
tutto in due anni, nel 1964. Ma sempre
si trascura che l’Unione Sovietica è stata l’Europa per quasi tutto il Novecento.
Ha pesato sulla prima guerra. Ha determinato il corso del primo dopoguerra, in Polonia,
Germania, Ungheria, Italia, Francia, Spagna e altrove. Ha deciso il corso della
seconda guerra, alleandosi a Hitler e poi sconfiggendolo a Stalingrado. Ha
determinato la storia successiva, esterna (la guerra fredda) e interna
(terrorismo) della maggior parte dei paesi europei, fino allo scudo stellare. Prima di Hitler, e durante il suo regno, nessuno dubitava che
l’Europa non stesse per diventare bolscevica, da Tampere al Po e Algeciras,
così come dopo a lungo si è scontato.
Le
lettura di Nolte è opportuna tanto più che l’Urss non c’è più: il suo crollo ha
rideterminato tutto il corso della storia europea. Dell’Unione Europea per
prima: gli squilibri non nascono dallo spread, lo spread nasce da una diversa morfologia
dell’Unione dopo la ricostituzione della Germania.
La parte più provocatoria, ancora da
sviluppare, è la più pregna: la categoria dell’“eterna sinistra”. L’inappellabile
richiamo dell’uguaglianza, suscitatore di fede indiscussa e entusiasmo. Lungo
la linea che va dalle plebi romane a Babeuf e Pol Pot. Ma senza trascurare
Mussolini, che ne soffrì la sindrome fino all’inizio della guerra, e lo stesso
Hitler. Se non che, non ultimo boomerang, la “purificazione” del mondo dagli
“inetti e parassiti” deve attribuirsi anch’essa dell’“eterna sinistra”.
Ernst Nolte, Controversie, Corbaccio, pp. 209 € 6,50 (remainders)
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