Aliporfuros-Oinopas
- L’omerico “mare colore
del vino” è questione sempre aperta – insolubile (v. su questo sito, da ultimo,
il 17 dicembre 2012)? Se proprio è del vino che si tratta, bisogna ancora
vedere. Se è del colore del vino:
fosco, cupo, detto del mare (“pontos” in Omero). O se non è dell’aspetto del vino: spumeggiante.
“Oinos” (“oinops”) Omero dice anche dei buoi: “rossicci”, “fulvi”.
Autofinzione – È nuova e vecchia. Quella di Limonov è
quella di Henry Miller, tre generazioni prima. Solo più oltraggiosa – ma nel
linguaggio non nella cosa (il sesso è l’unica cosa che non “progredisce”).
Ha una
data di nascita precisa, metà Ottocento, con l’autobiografia. La parola. La
cosa era già nota, sotto forma di confessione, cronaca, memoria, ricordo, storia
di una vita, diario, il genere più diffuso - da ultimo diario intimo, meglio al
plurale. Meglio ancora con l’autoritratto, che deve essere curato – tagliato,
pennellato. È piuttosto l’autoritratto. Che non è
esattamente un calco dell’autobiografia
L’autobiografia è genere all’apparenza diverso: è una
ricostruzione, e ha finalità storiche o politiche, sia pure dare un’immagine
solo complessa, non direttamente adulatoria, di sé. Ma per l’autore
l’autofinzione nasce e vive in fondo nello stesso presupposto, per quanto
realistica o veritiera si proponga: è una delle forme di protagonismo dell’autore.
Le interviste, per esempio, dialoghi con se stesso, che sono
dominanti, specie in tv. Erique Vila-Matas, pur dichiarandosi contrario alle
interviste (“le mie interviste sono danaro, perché dovrei darle gratis? Il
calzolaio va in giro a regalare le sue scarpe?”), ne dà volentieri. Accrescono
il personaggio.
In una di queste Vila-Matas spiega in particolare l’autofinzione:
“L’autofinzione è un’autobiografia da guardare con sospetto”. Salvo difenderla:
“Perché dovremmo intendere l’autobiografia nel senso classico, come
riproduzione esatta dell’io”? Facile, certo, l’io essendo inabbordabile – se
non come esercizio dell’io stesso, in egotismo.
È anche fare i conti “selvaggiamente”, senza possibilità cioè di
contestazione o ritorsione, con gli altri, dalla cara mamma di tante
scrittrici, ma soprattutto di Thomas Bernhard, al mondo tutto. Thomas Bernhard
è quello che l’ha esercitata meglio nei cinque libri dei suoi primi vent’anni,
e in molti racconti. È come un’offensiva in campo aperto, senza che comprimari
o avversari possano reagire, nemmeno tenere le loro posizioni. Un po’ alla
“Memorie di un pazzo”, “Memorie dell’oltretomba”.
Belli – Il Vaticano ne
celebra i 150 della morte con i francobolli. La solita bella serie, col sonetto
“Er giorno d’er giudizzio”. L’Italia niente. Roma? Nemmeno un convegno, una
lapide, una foto gratis sui giornali per il sindaco.
Catene – Con “Tormento”
e “Estasi”, la lettura degli anni 1950, con i film omologhi di Yvonne Sanson e Amedeo
Nazzari. Tornano i titoli con Philipp Djian, “ Vendette”, “Assassini”, “Imperdonabili”. Anche le storie. In décor moderno – setting.
Francia-Italia – Prima, seconda
e terza in Francia, nella top ten dei più venduti, le “Sfumature” della signora
James. Ma un anno dopo che in Italia. È una rivoluzione del gusto?
Orwell – È tuttora
vituperato dal politicamente corretto: spia, provocatore, anarchico (è un
ingiuria), Ma, che dire di tutto questo? “Un vero bolscevico, se il partito lo
esige, è pronto a credere che il nero è bianco e il bianco è nero”. “Se nella
massa degli arresti c’è un 5 per cento di colpevoli, va bene”. “Non bisogna giustiziare
soltanto colpevoli, l’esecuzione degli innocenti impressiona di più”. Non è la “Fattoria
degli animali”. Gli autori sono, nell’ordine: Piatakov, compagno di Lenin;
Stalin; Kirilenko, ministro della Giustizia di Stalin. La satira di Orwell li approssimava
per difetto. .
Pasolini - La poesia di Penna Saba
diceva materna. Non lo avrebbe detto di Pasolini, aggressivo. La sessualità era
per lui maledetta.
Luterano
si voleva e corsa. Cioè omologato nella protesta – benché, luterano….Alla pari
di ogni altro capetto, sia pure scritturale. L’onestà no?
È prima
arcaista: lingua, usi, tradizioni, terra. Poi civile alla Pound, ma senza
l’epica (alla Allen Ginsberg): una poesia fatalmente incitatoria. Pittorico
mai, che era il suo genio. Come per un rinvio costante, o un rifiuto. Con la
psicosi stessa del rifiuto, lui che era amatissimo – rifiuto da cui eccettuava
i pochi, quelli del Pci, che sinceramente lo praticavano.
Traduzioni – Le librerie che
vendono a metà prezzo i libri in omaggio intonsi pullulano di romanzi. Intere
serie delle più rinomate case editrici. Non proprio intere, con numerosi titoli
in collana, quasi tutti romanzieri\e tradotti\e. Di cui nessuno sa nulla. Le
copie omaggio presumendosi a critici e recensori, sono questi i primi che a non
saperne nulla, evidentemente, non avendo avuto la curiosità nemmeno di discellofanare
le copertine.
La domanda sorge: perché si pubblicano questi titoli di nessuna
vitalità, a un costo di partenza elevato,
mentre le stesse case editrici fanno le difficili con romanzieri nazionali che,
benché discellofanati, però costerebbero meno, molto meno? Un romanzo tradotto,
tra diritti, agenzia, e traduzione, non costa meno di 10 mila euro, in aggiunta
ai costi redazionali e tipografici - 10
mila euro cioè in più di quanto costerebbe un romanzo discellofonato nazionale.
La risposta non c’è. Non è imperizia, poiché il flusso di queste
traduzioni inutili è costante nei decenni.
Si dice: sono titoli che gli editori devono comprare en masse per avere un titolo di sicuro
successo. Ma perché tradurli, revisionarli, impaginarli, stamparli e
distribuirli? Una teoria vuole che ci sia un mercato nero dei diritti, via
agenzia. Ma è troppo infame.
letterautore@antiit.eu
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