Autentico – L’autentico non
si cerca nella sofferenza – sono ladro per esser povero, etc. – ma
nell’invenzione. Di una poesia che è finzione che si accetta. E allora tanto
più vera: dice, attrae, innova.
Si connota nel senso di veritiero, reale,
rispondente alla vera “realtà”.
È
concetto tedesco, per questo indefinito. È inautentico, che all’epoca era anche
il disusato filisteo, molto del moderno fra gli scrittori poi detti della
Mitteleuropa, o della fine del regno, da Hofmannstahl a Musil.
Adorno,
che molto ne scrisse, lo fa sinonimo di artificioso, l’essere dell’arte – lui che
i cultori chiamano l’ “esteta incorreggibile”: un gergo, “il gergo
dell’autentico”. In musica, nelle arti visive. In alternativa all’inautentico
che era il capitalismo – parliamo del 1950.
Autentica
in letteratura è in realtà l’invenzione. Allo sbando (libera) ma non contro
natura o contro tendenza. E non necessariamente artificiosa. Non lo è anzi in
senso proprio, quando è slegata dalla “giustificazione” – oggi dal dolore, la
sofferenza, la povertà, lo sfruttamento, specie nel mondo che meno ne soffre. Da
ultimo nel neo realismo, che non è morto, e anzi dilaga, ma forte dal
romanticismo “maledetto”, dal maledettismo. Anzi dal primo romanticismo, di
Brentano, non a caso finito bigotto, e Arnim. Quando la fantasia si riconosce
per essere voluta, artificiosa.
In
tedesco è eigentlich. Che è anche
“precisamente”, “realmente”, “appropriatamente”, “specificamente”, “in
definitiva”, “in fondo”, “in pratica”. Un intercalare, proprio perché indefinito. Derivato da eigen, proprio a, con costruzione quasi siciliana, “uguale allo
zio”, eigen più dativo. Da cui Eigentum, la proprietà,
anche intellettuale, titolarità. Non invece nel senso di pulito, o di ciò che è
specifico, speciale. Che è l’autentico italiano.
È un residuo dell’esistenzialismo, che ne
ha fatto il proprio dell’uomo, il suo fattore (valore) distintivo. Ma con un senso specifico in Heidegger,
la sua Sorge, la cura. L’autenticità, dice Heidegger, il prendersi
cura, è simulazione: reticenza e finzione. Su questo il filosofo del
chiaroscuro e del celarsi è esplicito: “Non bisogna farsi ingannare, a causa
della valenza etica negativa della menzogna, sul senso del tutto positivo che
essa ha nella strutturazione di determinati rapporti concreti”.
Meno
problematico (più onesto?) in Jaspers, “Psicologia delle visioni del mondo”,
1918, ma allora come mnemotecnica: “L’autentico
è ciò che è più profondo in contrapposizione a ciò che è più superficiale”,
quello che è “in fondo” alla psiche rispetto a quello che in pelle. Mai puro
peraltro, sempre mescolato all’inautentico. Come non detto.
Poligamia – La filosofia se ne disinteressa, come
dell’istinto volage in genere, dell’incostanza – la tirannia della naturale insocievolezza
(ma naturale non è, per l’uomo, la compassione?). Schopenhauer, che dell’amore
scrisse la metafisica, la usa in forma di poliandria. Volendo ravvivare la
natura, che ripetitiva genera tanti uomini quante sono le donne, ideò il
sistema variabile a scalare della donna in uso a due uomini, da surrogare via
via con una più giovane.
Proposta
migliore se ne potrebbe ricavare dai cavalli semibradi, tra i quali la poligamia
è diffusa ma non la comunione delle giumente: lo stallone, rinchiuso quando la
forza monta con una dozzina di femmine coetanee e poi da esse separato, sa
ritrovarle alla nuova stagione degli ardori, le infedeltà equine sono rare.
Questa sfuggì a Schopenhauer – ma è pure vero che soddisfare una dozzina di
fedeltà non è impresa lieve.
Preghiera – “La preghiera fa i miracoli”, ama dire il
papa Francesco. O non il miracolo è la preghiera, che è una forza di auto
convincimento? Come, nei riti collettivi, il peptalk, l’inno di battaglia.
L’invocazione di Dio o dei santi come una forza di autosuggestione. “Tu non
puoi supplicare Dio con le preghiere” è verso di Jim Morrison, quello dei
Doors, un cantautore dunque, sregolato (morrà di eroina): ottima teologia.
Si prega
in ginocchio ma più spesso in cammino. Sul marciapiedi. A Roma è frequente fra
tante edicole di devozione, in particolare tre o quattro della Madonna del
Divino Amore, quella della “Dolce Vita”. Una devozione dopo cinquant’anni, se
possibile, moltiplicata. Le pareti tappezzate di ex voto nel santuario non si
contano. E si estende, invece di collassare, l’uso delle famiglie estese. Ricche
di prozii e biscugini, di padre e di madre, di fare il Primo Maggio al
santuario, sulle panchine e sui prati. Si prega anche in gita.
Sette – È un numero primo, come il tre, ma non è
questo che fa la sua fortuna – pure il cinque lo è, mentre non lo è il quattro,
che è invece altrettanto pesante nella numerologia.
Si vuole
introdotto nella classicità da Pitagora, con la dottrina dei sette pianeti, che
non era in uso presso i greci bensì presso i fenici che si erano insediati in
Grecia. Nietzsche, “Il servizio divino dei greci”, pp. 29-31, ha moltissimi
esempi di “adozione” del sette a un certo punto della storia greca. La
questione storica è quindi chiara - il paradigma della storia greca è da alcuni
decenni sottoposto a radicale revisione, dopo Arnaldo Momigliano
cinquant’anni fa (ma già il fantasioso Bérard aveva le idee chiare, il suo “Les
Phéniciens et l’Odyssée” è del 1903): non più il caso isolato e la fortunata
eccezione, ma l’esito fertile di un connubio composito.
Di sette
è piena in effetti la Bibbia. Ma non al modo come vogliono i commenti vaticani,
che “il sette nelle Scritture indica un numero grande, e moltiplicato indica un
numero indefinito”. Sarà “la semitica totalità” di Ceronetti. Ma c’è anche nel
paganesimo. E nel cristianesimo: i sette diavoli di Maddalena, le sette parole
di Cristo in croce - oggetto di appassionata trattazione di san Roberto Bellarmino,
quello che invece a Galileo contestava la scienza. Sette anche i gradini della
scala di sant’Agostino per valutare la capacità di comprensione dell’anima.
Tutto è
sette nell’“Apocalisse” (Sigilli, Angeli, Trombe, Segni, Lampade, Chiese, Coppe
versate), opera di san Giovanni di Patmos patrono della massoneria – che il pio
Renan definì “libello radicale contro l’impero romano”, e l’erotologo inglese
D.H.Lawrence, figlio di minatore, “un’orgia di mistificazione al lavoro da quasi
duemila anni” per minare l’aristocrazia del Cristo, o il carattere individuale
della salvezza, mediante la sobillazione delle masse (è “metafora del crollo
del capitalismo” per H.M. Enzensberger).
zeulig@antiit.eu
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