Una lettura revulsiva – per chi ama il
prosciutto. E anche per gli altri: una profanazione. Mirata a un succès de scandale, che non è mancato. E ovvio premio Sade - che l’autrice ha rifiutato, ma non si vede perché. Una scommessa forse, una
serie da primato di atti osceni in pubblico, dettagliati, ripetuti, in sole
cento pagine. Firmata, anzi calligrafica, ma insostenibile. Si vuole violenta
ma è della cultura dei dolori, che da Werther è arrivata alle Wertherine.
Ossessiva, le divagazioni non prenderanno una pagina. L’occhio vigile di
Cesbron per lei, il dimenticato autore cattolico di best-seller – quello che
lei guarda sempre, a pancia in su o a pancia in giù, “Cane perduto senza collare”,
ha venduto più della Bibbia, 4 milioni di copie solo in Francia (l’altro
titolo, che lei si propone di leggere, è inventato, “Les Six Compagnons”). “Le
Monde” per lui, paravento laico-laido nelle pause, brevi, tra un assalto e
l’altro. Al culmine lei ha sul muro un crocefisso, e ricorda la prima
comunione.
È il tempo
in cui Franco muore. Che non vuole dire niente se non che anche Christine aveva
quindici anni. Come l’“eroina” muta, è lasciato supporre, degli interminabili assalti. Christine, nata
Schwarz, riconosciuta dal babbo linguista a quindici anni, l’età di questo memoir, ha raggiunto la celebrità nel
1999 con “L’incesto”. Lui, il “paparino” linguista del racconto, specialista
della W, che in francese suona u quando non è tedesca come in wagon-wagen, è
Trintignant più bello. Per accentuare l’umiliazione, il paparino illustra rapito alla ragazza la foto gioiosa dei figli “legittimi”.
Scittrice whimsical, divertita e divertente, fa
teatro, lo scrive e lo recita, Christine Angot pratica l’autofinzione, e questo
è il solo gusto della vicenda. Altrimenti insopportabile – in filigrana, per
chi segue la scena francese, c’è pure la parodia di Houellebecq, l’autore
generazionale, sgradevole per programma. Lei nega di praticare l’autofinzione,
“che sa sempre di autobiografia” – “il mio io è immaginario”. Ma le piace
esporsi – è anche una bella cinquantenne. Anche a costo di cambiare editore a
ogni libro.
E fare i conti: l’autofinzione è tribunalizia, l’autore contro tutti. Citata in
giudizio, per i due ultimi libri prima di questo, dalla compagna dell’ex
marito, per interferenza con la sua vita privata, è stata condannata – lo dice
lei stessa, è presumibile, nella sua bio wikipedia, se ne vanta. E quindi anche
di questo, forse, si può ridere, benché a fatica: il suo io s’immagina un paparino
ributtante, la profanazione è, malgrado tutti i suoi abusi, di lui..
Christine Angot, Una settimana di vacanza, Guanda, pp. 105 € 13
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