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venerdì 14 giugno 2013

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (173)

Giuseppe Leuzzi
Cancale è il posto delle ostriche in Bregagna, gli ostricari si succedono a centinaia  con chioschi grandi e piccole, terrazze, buffet, attorno al vivaio. Se ne possono avere di gustose, per esempio le belon, a prezzo modico. Se non si chiede il limone: una fettina di limone, sottile, una goccia per ogni ostrica, costa quanto mezza dozzina di ostriche.

I campionati nazionali di calcio sono in realtà regionali, la A del Nord, la B del Sud. Nella A giocano tredici squadre del Nord e tre del sud, con quattro del centro, Roma e Toscana. In serie B giocano dieci squadre del Sud, e 8 del Nord, con quattro al solito del Centro.

Le iniquità sul Nord
Su “Repubblica” Valentina Conte illustra uno studio della Cna, la confederazione dell’artigianato, sull’eccessiva pressione fiscale che grava le piccole imprese. Gli oneri sono ugualmente eccessivi, al Nord e al Sud. La pressione fiscale è alta a Bari e Napoli come a Bologna. Il piccolo imprenditore a Bologna è il più tassato, ma solo di un punto più che Roma e di due più che Bari e Napoli. Unico anche il responsabile: il federalismo fiscale, che ha praticamente raddoppiato gli oneri – quelli dello Stato non sono diminuiti in corrispondenza.
“Un raddoppio «insostenibile»”, conclude Conte, “che lascia all’imprenditore solo il 39 per cento del suo reddito (il 30 a Bologna, il 34 a Roma, il 41 a Milano, il 43 a Catanzaro”. Ma dopo una sintesi di un altro aspetto dello studio, l’incidenza dei diversi valori catastali nelle varie province, che ora diventa rilevante a causa dell’Imu. La Cna ipotizza un laboratorio semicentrale di 350 mq., con annesso magazzino e spazio espositivo di 170 mq.. Il valore catastale ai fini Imu del laboratorio varia tra i 603 mila euro di Bologna e i 66 mila di Palermo. Quello del negozia varia tra i 397 mila euro emiliani e i 100 mila di Potenza. “Una variabilità – una «iniquità», scrive la Cna – che incide sul peso del prelievo locale”.
La Cna inalbera orgogliosa l’articolo di Valentina Conte in cima al suo sito. Ma solo il capoverso della “iniquità geografica”. Lo intitola con questa parole, “iniquità geografica” e con quete lo richiama su google.

Siciliani contro
Antonio Canepa, che nel 1933 è al manicomio (voleva invadere San Marino), quattro anni dopo pubblica tre tomi di “Sistema di dottrina del fascismo” ed è professore di Storia e dottrina del fascismo e di Storia della dottrine politiche all’università di Catania, poi via via spia inglese, separatista, comunista, giellino, attentatore, capo militare del separatismo siciliano. A questo punto, siamo al 1945, ha solo 32 anni. Siamo quindi al centenario della nascita, che la Sicilia gattona lascia passare incognito.
L’attività di Canepa nella resistenza sembra inventata, ma non lo è. Ai suoi guerriglieri, giovani di campagna, dava da leggere e commentare “If”, la poesia di Kipling, seppure in italiano. E un decalogo di suo pugno. La resistenza – stiamo parlando del 1944, dopo che l’italoamericano colonnello Poletti, che conosceva i suoi polli, ebbe lasciato l’isola - era contro l’idea d’Italia, o forse solo della Repubblica.
Nello stesso 1945 Canepa sarà ucciso dai carabinieri a un posto di blocco. In questo caso scopertamente: sapevano chi era, e lo uccisero mentre si allontanava in macchina coi suoi uomini, uccisero solo lui. Tre carabinieri contro Canepa e cinque guerriglieri, che non spararono un colpo. La bara di Canepa poi scomparsa per evitare le esumazioni è invece la parte ripetibile del canovaccio.
Canepa in parte era predestinato. Figlio del giurista insigne e accademico Pietro, e allievo dei gesuiti. Prima a Palermo, poi nel collegio esclusivo di Acireale. E poi era, naturalmente, isolano. “Quante volte i siciliani sono andati al governo, da Crispi a Orlando, che bene ne ha veduto mai la Sicilia?” è la parte migliore del suo manifesto politico, “La Sicilia ai Siciliani!”, del 1944.

Andrea Camilleri, che ricorda Canepa in un testo ripreso nella sua ultima compilazione, “Come la penso”, vi ripubblica anche un lungo scritto, “Cos’è un italiano”, che è un pattume dei più biechi luoghi comuni. Rinfrescati come lui sa, per far ridere, e perciò tanto più irritanti.
Si penserebbe che sia una parodia, magari mal riuscita, degli stereotipi sugli italiani. E invece no: Camilleri informa grave che il “saggio” è stato pubblicato in forma di libro in Germania e in Francia. Si penserebbe allora che ne abbiano fatto un libro proprio perché risponde alle frasi fatte sull’Italia che hanno mercato in quei paesi. Ma Camilleri non lo sospetta.
Canepa redivivo dovrebbe dunque dire: “Da Crispi a Camilleri”.
Ma in realtà si comincia con La Farina, grande italianista, subito dopo la liberazione a opera di Garibaldi.

Milano
Sultana Razon, pediatra, 81 anni, moglie di Umberto Veronesi, ha passato sventure enormi nella sua vita. Ma quella che più la colpisce nelle sue memorie, “Il cuore, se potesse pensare”, è il marito che “in macchina disse improvvisamente: «Ti devo fare una confessione. Ho un altro figlio da quattro anni»”. La colpisce, ancora a distanza di tempo, forse perché non c’è il nemico da combattere – i nazisti del lager di  Bergen-Belsen, il rene malato, il tumore.
Il peggio è ancora meglio dell’Italia, di Milano, del grande milanese Veronesi, con la sua “casa chica” che fa tanto Sud America senza rimedio.

Il sovrintendente Lissner lascia la Scala per l’Opera di Parigi, Senza dubbi. La Scala si dà per sovrintendente  Alexander Pereira, che nel 2005 aveva rifiutato la chiamata, preferendo l’Opera di Zurigo. Poi Pereira, austriaco, è finito a dirigere il Caracalla di Salisburgo, la stagione estiva. Ma Milano si dice lo stesso la capitale d’eccellenza della lirica.

Sui 471 milioni di entrate per multe stradali comminate nel 2012, il Comune di Milano ne ha incassati solo 135, meno di un terzo. Obiezione fiscale?

Milano ha molte meno macchine di Roma, 810 per mille abitanti contro 955, una popolazione che è meno della metà di Roma, e una propensione all’uso urbano dell’auto inferiore, poiché ha un migliore sistema di trasporto pubblico metropolitano. Ma ha elevato nel 21012 contravvenzioni per 471 milioni, contro i 281 di Roma. Che non è la città più incidentata, lo è anzi meno di Milano (paga meno Rca).
Come il caffè, la multa è più cara a Milano?

Leggendo i giornali, si vive in una città che se non è New York poco ci manca. Girando per la città, è un deserto urbano. S’incontrano anche enormi isolati di fabbricati abbandonati. Non in periferia, a San Siro: le ex scuderie proprio sotto lo stadio, un piccolo grattacielo di ferro vetro. In vi Carlo Botta, non lontano dal Duomo, la piscina storica Caimmi è una discarica – ma ogni tanto la ripuliscono.
La città si celebra del design, l’architettura, il trendy. Tra i palazzi abbandonati, capita d’imbattersi in Piacentini, Viganò, perfino un grattacielo, la Torre Galfa, trenta piani che sanno di architetto. Che morale ci fa Milano di queste macerie urbane?

Si moltiplicano a Milano le scoperte e le condanne della ‘ndrangheta. Che agiva alla luce del sole. È la ‘ndrangheta che aveva conquistata Milano, o Milano che se ne serviva?

Non sarà un’altra guerra di mafie? Chi porta la cocaina ora a Milano?

Non è facile fare affari a Milano, alla ‘ndrangheta sì. Secondo i tribunali milanesi. Che non ci dicono però come mai. Gli ‘ndranghetisti sono anche brutti, in genere – il tipo da cui negli Usa uno non comprerebbe una macchina usata. Non si nascondono.

La Lega paga a Bossi un “appannaggio” annuale di 850 mila euro. È meno di quello della regina Elisabetta, ma Bossi è il re di che cosa?
Non si stracciano per questo le vesti le vestali lombarde.
La cosa è anche ridicola, ma nessuno ne fa la satira.

Unicredit tratta, in perdita, anche per conto della Roma, la squadra di calcio. Lo spiega il presidente del Napoli, De Laurentiis. Milano si è preso anche il calcio di Roma. Per meglio liquidarlo?

La mafia imprenditrice
In “L’intoccabile” Marisa Merico tratteggia la sua vita da giovane mafiosa, figlia e nipote di mafiosi, di Emilio Di Giovane, re della coca (e delle evasioni) a Milano negli anni 1980-1990, e della nonna Maria Serraino, la madre di Emilio. Maria Serraino, qui sempre la Nonna, con rispetto, con affetto, fu a suo modo un’imprenditrice di grande successo. Spietata quanto ogni altro imprenditore di successo.
È evidente che, in una città e una società molto chiuse come Milano, le Serraìno fanno comodo, per i rifornimenti di droga, di cui lei dispensava peraltro largamente i profitti, specie ai tutori dell’ordine, ai giudici come agli sbirri. Quando il business scantonò nei rapimenti di persona, fu rapidamente circoscritto e bloccato. E quando il mercato della droga trovò migliori performer, la famiglia di Maria fu segata, con arresti e ergastoli.
E tuttavia Maria Serraìno è senza confronti una imprenditrice di successo. Emigrata negli anni 1960 a Milano col marito e alcuni figli, analfabeta, dieci anni dopo era la regina del contrabbando nella zona attorno piazza Prealpi dove abitava, e vent’anni della droga, eroina dapprima, poi, dopo la morte per overdose di un paio di figli e nipoti, di erba e cocaina. Al commercio ha infatti applicato i tanti figli, una dozzina, che si era portati dietro dalla Calabria o aveva fatto a Milano. Un impero che con difficoltà è stato smantellato negli ultimi anni. E solo grazie alla collaborazione del figlio più amato, Emilio. Che le ha valso un ergastolo – per un omicidio che probabilmente non ha commesso.
Questo - Marisa Merico non lo evidenzia - conferma che il Sud, la donna, l’analfabeta, il povero, non è fatalista, o il tipo criminaloide di Lombroso e dell’eugenetica, ma uno a cui sono chiusi gli sbocchi. Un animale come gli altri – gli animal spirits – ma tenuto in prigione, in cattività.

La famiglia mafiosa è stata per Marisa Merico “una scuola privata”.  Lo capisce quando, al carcere duro in Inghilterra a 24 anni, madre di una figlia di pochi mesi, si scopre combattiva. Una che non molla, tra regolamenti severissimi e compagne di cattività cattivissime (pluriomicide, serial killer, assassine di bambini, anche dei propri figli). In questa scuola privata, si rende conto, “dovevi essere forte, far fronte coi tuoi soli mezzi pur obbedendo alle regole”. E così pure si scopre alla fortuita liberazione pochi anni dopo: “Ero stata stoica e forte, e decisi di restare tale per sopravvivere all’esterno”. Diventando scrittrice, di successo.

leuzzi@antiit.eu 

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