Vito Teti
ripropone l’antologia sulle “Origini del pregiudizio antimeridionale”. Con
una’ampia introduzione per i quasi vent’anni trascorsi – il libro, scritto nel
1992, uscì vent’anni fa, nel 1993, in pieno spolvero del leghismo. A ridosso
allora del libro, una “questione settentrionale” è stata imposta, a ulteriore
condanna del Sud. Di cui lo storico e antropologo dell’università della
Calabria fa l’anamnesi. Compresi i “dettagli” che ora si rimuovono. Il razzismo
di Miglio, dichiarato. O “Libero” che ripropone la passione di Cristo a opera
dei Bruzi – i calabresi di duemila anni fa. Molta aneddotica derivando da uno
scrittore che non cita, Antonio Delfino: la panoplia d’insulti del “popolo del
Nord” al parroco di San Luca, o la sceneggiata Bbc della droga a Reggio
Calabria per una “diretta”.
Tutti i
problemi dell’Italia vengono imputati al Sud, senza del quale il destino
sarebbe stato felice: “Il profondo Nord mistificava o colpevolizzava” il
profondo Sud. “Profondo” è il Nord dell’omonima trasmissione tv di successo di
Gad Lerner. Imitata due anni dopo da “Milano Italia” di Gianni Riotta e poi
Enrico Deaglio: “I libri e le trasmissioni televisive d’inizio anni Novanta che
si propongono di capire i mutamenti intervenuti al Nord, di segnalarne le
insoddisfazioni e le ansie, finiscono con il descrivere la nascita di una
questione settentrionale quasi come esito di una politica che avrebbe
avvantaggiato il Sud”.
Era anche
un’altra Italia, quella che s’imponeva: mentre la questione meridionale
rispecchiava un’Italia attenta ai problemi sociali, alla povertà, agli
squilibri, la questione settentrionale “guardava prioritariamente all’impresa,
alle ragioni dell’evasione fiscale, a imprenditori e a padroni che volevano
arricchirsi ancora più velocemente”. Un “rovesciamento paradossale”. Giacché
“il Meridione, che aveva conosciuto”, con l’unità, “espropriazioni, distruzione
di economie e di culture, svuotamento di paesi e di campagne, esodi biblici,
diventava – anche per colpa del ceto politico e delle classi dirigenti meridionali
– il responsabile delle difficoltà e dei ritardi del Settentrione in rapporto
ai pesi del Nord europeo”. Il dominio di “Milano” nacque su questi falsi
presupposti – come tutto il resto, si può aggiungere, della emprise ambrosiana sull’Italia.
Il razzismo è socialista e siciliano
L’antologia
riesuma il dibattito che suscitarono a fine Novecento il razzismo dichiarata di
Alfredo () Niceforo e, in parte, di Lombroso. Con gli interventi di Colajanni,
Pasquale Rossi, Ciccotti, Salvemini, Giuseppe Sergi e Fortunato. Una ripresa,
di cui Teti sa però riallacciare con vivezza i fili della continuità. Anche per
non privarsi, benché posato studioso, dello “scarto”, imprescindibile in ogni
calabrese, anche incolto – da cavallo degli scacchi imbizzarrito. La “lentezza”?
è la fame atavica. La dieta mediterranea? Chi se la poteva permettere. E il
classicismo, la tradizione, etc., di un paese che non ha storia o non se ne
cura. Critica anche la retorica dei
personaggi negativi”, pr esempio Alarico - ma lui stesso è celebratore di
Uccialli, o Uccialì.
Resta da
dire che Niceforo, autore di “Italiani del Nord e Italiani del Sud”, 1901, dove
ipotizza la “razza maledetta”, nonché di “La delinquenza in Sardegna”, 1897, e
“L’Italia barbara contemporanea”, 1898, si riteneva uno scienziato, ed era un
socialista, siciliano – era nato “imparato”: nel 1901 aveva venticinque anni.
Vito Teti, La razza maledetta, Manifestolibri, pp.
301 € 30
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