Una lettura
emozionante, di un altro mondo, un’altra Italia – questa solo possibile. Sono poche
pagine: gli articoli e le lettere sull’Italia di Bakunin, che nella penisola
passò tre anni, dal 1864 al 1867, “visitandola in lungo e in largo, a piedi, sui
piroscafi, in carrozza e in treno”, prendono la metà del libro (la citazione è
dall’introduzione di Lorenzo Pezzica, che cura anche una lunga biografia). Ma
bastano a far intravvedere un altro esito del Risorgimento. Pianamente, non nei
fumi messianici con cui si ammorba la figura di Bakunin. Candidamente. Negli
anni in cui Torino e i Savoia ammorbavano l’Italia – “tanto peggio tanto meglio”
era la cifra già nel 1865. Condannando quella che era stata la speranza dell’Europa
e l’unica sua rivoluzione riuscita, all’informe Italietta, dei traffici e del malcostume,
che ci portiamo dietro da un secolo e mezzo, senza dignità, nel pettegolume. È informe
pure la reazione, in questa Italia, incapace.
È un’altra
dimensione, anche, della politica, quale oggi non si saprebbe immaginare.
Michail
Bakunin, Viaggio in Italia,
Elèuthera, pp. 143 € 12
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