sabato 15 giugno 2013

La libertà americana di opinione

Si fanno statistiche mondiali, di vari watch, osservatori, transparency, su questo o quell’aspetto della vita pubblica: la libertà d’opinione, i diritti civili, le carceri, la corruzione, eccetera. Di organismi solitamente inglesi (o olandesi, che è la stessa cosa), oppure americani. Nelle quali l’Italia, per essere la sede della chiesa cattolica, viene normalmente collocata verso la fine, tra Palau, per dire, e Vanuatu. Gli Usa, invece, la Gran Bretagna, i paesi più corrotti, normalmente vengono in cima. È una colpa che bisogna pagare, e pazienza.
Ma come la cosa si concilia, per esempio la libertà d’espressione e i diritti civili, con la sorveglianza elettronica di ogni atto, gesto, o detto di ogni cittadino? Basta digitare due volte una parola sensibile, bomba, o Israele, o Maometto, e gli Usa immediatamente ci fanno schedare. Da un giovanotto che non ha nemmeno terminato il liceo. E forse è spia della Cina, ci dicono ora. Ma non lo smentiscono.
Anche per Wikileaks, hanno perseguito chi ha pubblico i documenti. Ma a che livello di democrazia dobbiamo collocare i vari socialwatch e transparency international che assolvono gli Usa, le interferenze Usa in ogni dove nel mondo? O fanno anch’essi parte del sistema di controllo?

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