martedì 25 giugno 2013

La peste con gli untori

Sandro Veronesi è deluso. Si aspettava una tragedia sui gradini del palazzo di Giustizia, seduto al caffè di fronte, e ha visto solo una decina di pensionati, in piedi per ore, lieti infine di poter dire: “Berlusconi a piazzale Loreto”. Ma dentro l’ambiente era revulsivo. Procuratori della Repubblica riveriti coma valvassori, cronisti giubilanti, avvocati locupletati, l’onorevole Santanché in cerca di telecamere, la giudice cotonata laccata. Le pieghe alla bocca di disgusto, che sono delle bacchettone. La strafottenza. La mediocrità. Il tanfo anche, forse di aria morta. O della pretesa morale della città più corrotta d’Europa, in Borsa, in banca, nella moda, tra modelle e cocaina, nei giornali, al palazzo di Giustizia. Dove emeriti venduti dirigono il traffico. Non per condannare questo o quello – non condannano in realtà Berlusconi (per questo bastava molto meno, molto prima) e anzi lo rafforzano – ma per tenere schiavi i governi e l’Italia.
La peste è nota: Bossi, Berlusconi, Di Pietro, Monti e i suoi ministri, le banche, la curia. Gli untori pure: i suoi giudici, ora molto ambrosiani (una volta erano napoletani), e i suoi giornali. Ma quando finisce? Non si vede cosa Milano può fare di più o di peggio per distruggerci. Da venticinque anni non consente un governo, mentre si prendeva gratis tutte le banche e i monopoli pubblici, azzoppava la Banca d’Italia, segava il Sud, e s’arricchisce coprendo l’Italia di tasse e disoccupazione. Gloriandosi della virtù senza peccato, l’ipocrisia violenta del suo santo Borromeo (controriformismo). E non ha finito?

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