Sandro Veronesi è deluso. Si aspettava una tragedia sui gradini
del palazzo di Giustizia, seduto al caffè di fronte, e ha visto solo una
decina di pensionati, in piedi per ore, lieti infine di poter dire: “Berlusconi
a piazzale Loreto”. Ma dentro l’ambiente era revulsivo. Procuratori della
Repubblica riveriti coma valvassori, cronisti giubilanti, avvocati locupletati,
l’onorevole Santanché in cerca di telecamere, la giudice cotonata
laccata. Le pieghe alla bocca di disgusto, che sono delle bacchettone. La strafottenza.
La mediocrità. Il tanfo anche, forse di aria morta. O della pretesa morale
della città più corrotta d’Europa, in Borsa, in banca, nella moda, tra modelle
e cocaina, nei giornali, al palazzo di Giustizia. Dove emeriti venduti dirigono
il traffico. Non per condannare questo o quello – non condannano in realtà
Berlusconi (per questo bastava molto meno, molto prima) e anzi lo rafforzano –
ma per tenere schiavi i governi e l’Italia.
La peste è nota: Bossi, Berlusconi, Di Pietro, Monti e i suoi
ministri, le banche, la curia. Gli untori pure: i suoi giudici, ora molto ambrosiani (una
volta erano napoletani), e i suoi giornali. Ma quando finisce? Non si vede cosa
Milano può fare di più o di peggio per distruggerci. Da venticinque anni non
consente un governo, mentre si prendeva gratis tutte le banche e i monopoli
pubblici, azzoppava la Banca d’Italia, segava il Sud, e s’arricchisce coprendo l’Italia di
tasse e disoccupazione. Gloriandosi della virtù senza
peccato, l’ipocrisia violenta del suo santo Borromeo (controriformismo). E non ha finito?
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