Il
femminismo di due secoli dopo, nelle sue diverse articolazioni e nelle sue
poche certezze, è in questa dichiarazione-decreto in pochi articoli. Assortita
da una lettera alla regina Maria Antonietta che avrebbe dovuto vararla. Quasi
un miracolo – forse per questo trascurato dal femminismo stesso, oltre a essere
stato a lungo ignorato, fino a metà Ottocento. La storia può essere cieca.
Olympe è un personaggio perfino
romanzesco. Di nome Marie Gouze. Figlia illegittima di un marchese, Jean-Jacques
Lefranc de Pompignan, mediocre poeta, vittima prediletta di Voltaire. A sedici
anni fu data in sposa a un ufficiale dell’Intendenza, che la lasciò presto vedova
con un figlio. Due anni dopo la “Dichiarazione” non era potuta salire alla
Tribuna, dei rappresentanti del popolo, ma saliva al patibolo. Fu ghigliottinata il 3
novembre 1793, pochi mesi dopo l’inizio del Terrore. Con questa motivazione:
“Olympe de Gouge, nata con un’immaginazione esaltata, ha scambiato il suo
delirio per un’ispirazione della natura: ha voluto essere un Uomo di Stato. Ieri
la legge ha punito questa cospiratrice per aver dimenticato le virtù che
convengono al suo sesso”.
Olympe
non sapeva scrivere. Ma, grazie alla pratica diffusa della lettura ad alta
voce, conosceva ciò di cui si parlava, fossero classici o libelli politici e rivoluzionari,
e sapeva argomentare. Firmò 29 romanzi e racconti vari, 71 pièce teatrali, 70 fra libelli e articoli rivoluzionari. E fu
autrice di questa dichiarazione, nel 1791, due anni dopo la “Dichiarazione dei
diritti dell’uomo e del cittadino”. Ribaltando il Cittadino di Diderot nell’“Enciclopedia”,
che doveva essere maschio: “Il termine non si applica alle donne, ai bambini,
ai servi, se non come membri della famiglia del cittadino propriamente detto”.
Olympe de Gouges, Dichiarazione dei diritti della donna e
della cittadina, Caravan, pp. 44 € 3, 50
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