venerdì 21 giugno 2013

La storia cieca di Olympe

Il femminismo di due secoli dopo, nelle sue diverse articolazioni e nelle sue poche certezze, è in questa dichiarazione-decreto in pochi articoli. Assortita da una lettera alla regina Maria Antonietta che avrebbe dovuto vararla. Quasi un miracolo – forse per questo trascurato dal femminismo stesso, oltre a essere stato a lungo ignorato, fino a metà Ottocento. La storia può essere cieca.
Olympe è un personaggio perfino romanzesco. Di nome Marie Gouze. Figlia illegittima di un marchese, Jean-Jacques Lefranc de Pompignan, mediocre poeta, vittima prediletta di Voltaire. A sedici anni fu data in sposa a un ufficiale dell’Intendenza, che la lasciò presto vedova con un figlio. Due anni dopo la “Dichiarazione” non era potuta salire alla Tribuna, dei rappresentanti del popolo,  ma saliva al patibolo. Fu ghigliottinata il 3 novembre 1793, pochi mesi dopo l’inizio del Terrore. Con questa motivazione: “Olympe de Gouge, nata con un’immaginazione esaltata, ha scambiato il suo delirio per un’ispirazione della natura: ha voluto essere un Uomo di Stato. Ieri la legge ha punito questa cospiratrice per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso”.
Olympe non sapeva scrivere. Ma, grazie alla pratica diffusa della lettura ad alta voce, conosceva ciò di cui si parlava, fossero classici o libelli politici e rivoluzionari, e sapeva argomentare. Firmò 29 romanzi e racconti vari, 71 pièce teatrali, 70 fra libelli e articoli rivoluzionari. E fu autrice di questa dichiarazione, nel 1791, due anni dopo la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”. Ribaltando il Cittadino di Diderot nell’“Enciclopedia”, che doveva essere maschio: “Il termine non si applica alle donne, ai bambini, ai servi, se non come membri della famiglia del cittadino propriamente detto”.
Olympe de Gouges, Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, Caravan, pp. 44 € 3, 50

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