L’attacco è a effetto, il maggioritario del Pd schiacciando
sulla legge-truffa, che il Pci combatté invece con asprezza, insieme col Psi,
nel 1953, qualificandosi come grande forza costituzionale, perno e difesa della
Costituzione. Centrodestra e centrosinistra si sono equivalsi alle elezioni di
fine febbraio, ma la legge elettorale ha dato a uno dei due schieramenti,
grazie allo scarto minimo dello 0,3 per cento dei voti, 340 deputati contro
124. È “il più grande scandalo mai verificatosi nella storia politica
italiana”, s’inalbera il filologo classico Canfora. Con la solita
documentazione a supporto: “Più scandaloso perfino del risultato ottenuto dal
“listone” mussoliniano (e associati) grazie alla legge Acerbo, nelle elezioni
politiche dell’aprile 1924”.
Canfora si perde sempre più nella polemica e si diverte.
Anche la “la precipitosa dissoluzione sia del Pci che della Dc” nel compromesso
storico e “il cambio della cultura al vertice del partito erede del Pci, il
Pds” connette tagliente a “l’apparizione di una vera destra anti-antifascista
(“Forza Italia” e sue varie isomorfosi)”. Col passaggio alla competizione
elettorale come a “un tavolo da gioco”. O “dalla difesa del suffragio
universale al principio-base delle corse dei cavalli”.
Ma il
“porcellum” è burro per la lama del polemista. E l’argomento si spegne subito.
Nel discorso di Togliatti alla Camera contro la legge truffa. E in
un’argomentazione più irritata che vera. Argomenta alla fine che il
proporzionale è “il male minore e, in parte, persino un rimedio”: “Costringe i
partiti ad essere veramente tali, cioè a guadagnarsi davvero, e quotidianamente,
il consenso”, anzi “li costringe a ridiventare veicolo di educazione politica
di massa”. Ma dopo aver rivelato che il proporzionale è all’opera in
Venezuela e in Iran, non altrove, senza grandi effetti democratici, si direbbe.
È il filologo un nostalgico beffardo, della democrazia? Né smette di denunciare
la falsa sinistra in Italia, di maniera quando non è turpe, per interessi
personali, familiari, tribali, grandi e piccoli, proteggendosi con lo scudo
dell’antiberlusconismo.
Il
filologo tourné scienziato politico avrebbe potuto
(dovuto) allargare il fuoco. Al fatto che il
maggioritario di per sé non garantisce la governabilità, in assenza di una
politica forte, di un progetto meglio che di una leadership, oggi merce
contraffattibile. Il fatto più evidente del quasi quarto di secolo ultimo della
Repubblica: dei governi Prodi, frastagliatissimi, dei governi Berlusconi 2004,
2001 e 2008, supermaggioritari a nessun effetto, tra i più divisi e meno
efficienti, e in questa legislatura del Pd, che ha già sprecato quindici mesi
in litigi, e non ha finito.
Canfora
evoca il “compromesso” come il cibo del governo democratico - vittima anche lui
della parola, se non del progetto berlingueriano: “Nelle società complesse
la ricerca del compromesso è l’unica alternativa al conflitto, ed è perciò necessaria”. Meglio
avrebbe fatto a evocare il governo Craxi, l’ultimo stabile e efficace (contro
l’inflazione al 20 per cento e contro la mafia, avveduto in politica
internazionale). E chiedersi perché Craxi volesse comunque la Grande Riforma.
Si limita invece a blaterare contro “il famigerato concetto della
«governabilità»”. La “mentalità elitistico-giacobina” che denuncia è più
caratteristica degli studiosi – degli studiosi che si compiacciono della
polemica, quasi sempre non divertente, e sono la parte non minore del problema.
Canfora si fa un bersaglio del maggioritario come la sinistra del
berlusconismo.
L’attrattiva
del polemismo può peraltro essere oscena, e Canfora non se ne guarda. A p.80
irride, lui che meglio di molti ha studiato la Germania di Weimar, al “rischio
Weimar” – irride tra parentesi: “(Ma nel quindicennio della Repubblica di
Weimar non era stato certo quello della frantumazione in piccoli partiti il
principale problema, al contrario la nascita di grossi partiti eversivi!)”.
Mentre dei quindici anni di Weimar Hitler ne impiegò ben dodici per emergere, e
fu votato soprattutto per disperazone, per l’incapacità di troppi governi, e
per l’inaffidabilità del partito Comunista, il più forte d’Europa, ma
indefettibilmente filorusso, staliniano. Il Kpd, come tutti i partiti
Comunisti, anche il Pcd’I dopo Gramsci, era “intrattabile”, fuori della
sinistra e ad essa antagonista: come può Canfora trascurare questa nota dei
partiti Comunisti, anche prima del Cominform?. La stessa sequenza che nella repubblica
di Weimar, in tempi accelerati, si era avuta in Italia tra il 1919, suffragio
universale proporzionale, e la “marcia su Roma – nel mezzo il partito
Comunista.
Più
caratteristico ancora è questo: lo stalinismo dell’antistalinista.
Caratteristica è l’incapacità di vedere perché il partito Comunista fu messo
fuorilegge nella Germania Federale, e fuori Parlamento dal salamandering di De Gaulle.
Il centro
delle argomentazioni è l’inammissibilità del referendum popolare in materia
elettorale: l’art. 75 della Costituzione non lo esclude per un colpo di mano di
Meuccio Ruini. Ammesso che sia vero (non lo è), questo è un ragionamento
elitistico (dossettiano, o è dispettoso, e di arido intellettualismo o di
facile giornalismo). La Costituzione fu soggetta a referendum?
Ci sono
delle ragioni nello sveltimento del processo legislativo. Di questo si tratta,
non del palio del Saracino. Col facile effetto dei continui rimandi alla legge
Acerbo-Mussolini, e al partito-azienda. Mentre il maggioritario della “legge-truffa”
era opera di un fascista nientemeno, benché rettore della università di Napoli,
del “già robusto fascista” Alfonso Tesauro.
Prolifico
come Camilleri, siamo quasi a un libro a settimana, forse in ragione dell’età,
e come lui il più letto, forse anche il più leggibile, il filologo è qui meno
avventuroso del solito. L’argomento è ineccepibile, benché preso per un terzo
dalla “lezione costituzionale di Palmiro Togliatti”, di cui Canfora è l’ultimo
paladino, un po’ sperduto nella giungla: un uomo, un voto, e per tale deve
contare. Ma con limiti. Perché il rigetto della “legge-truffa”, che Canfora
celebra come l’atto massimo di resistenza nella vita ormai lunga della
Repubblica, ne ha segnato la condanna. Non della Repubblica, che anzi è ben
sfruttata dagli interessi costituiti, ma della funzione pubblica. Della
politica, della funzione politica. Che è l’unica arma della democrazia, e l’unico
significato del voto, più che il rispetto integrale del decimale.
E poi
bisognerebbe svegliarsi. L’“educazione politica delle masse” non è l’illusione che la nostalgia nutre, del
tempo in cui i socialisti prima e poi i comunisti “educavano” le masse? E l’obbligo
del compromesso, che democrazia è? Il compromesso, quando è diventato “naturale”,
onnicomprensivo, è stato l’inizio della fine della democrazia in Parlamento,
col sottogoverno e i poteri costituiti.
Luciano Canfora, La
trappola. Il vero volto del maggioritario, Sellerio,. Pp. 101 € 10
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