venerdì 7 giugno 2013

Ladri di voti – e di politica?

L’attacco è a effetto, il maggioritario del Pd schiacciando sulla legge-truffa, che il Pci combatté invece con asprezza, insieme col Psi, nel 1953, qualificandosi come grande forza costituzionale, perno e difesa della Costituzione. Centrodestra e centrosinistra si sono equivalsi alle elezioni di fine febbraio, ma la legge elettorale ha dato a uno dei due schieramenti, grazie allo scarto minimo dello 0,3 per cento dei voti, 340 deputati contro 124. È “il più grande scandalo mai verificatosi nella storia politica italiana”, s’inalbera il filologo classico Canfora. Con la solita documentazione a supporto: “Più scandaloso perfino del risultato ottenuto dal “listone” mussoliniano (e associati) grazie alla legge Acerbo, nelle elezioni politiche dell’aprile 1924”.
Canfora si perde sempre più nella polemica e si diverte. Anche la “la precipitosa dissoluzione sia del Pci che della Dc” nel compromesso storico e “il cambio della cultura al vertice del partito erede del Pci, il Pds” connette tagliente a “l’apparizione di una vera destra anti-antifascista (“Forza Italia” e sue varie isomorfosi)”. Col passaggio alla competizione elettorale come a “un tavolo da gioco”. O “dalla difesa del suffragio universale al principio-base delle corse dei cavalli”.
Ma il “porcellum” è burro per la lama del polemista. E l’argomento si spegne subito. Nel discorso di Togliatti alla Camera contro la legge truffa. E in un’argomentazione più irritata che vera. Argomenta alla fine che il proporzionale è “il male minore e, in parte, persino un rimedio”: “Costringe i partiti ad essere veramente tali, cioè a guadagnarsi davvero, e quotidianamente, il consenso”, anzi “li costringe a ridiventare veicolo di educazione politica di massa”. Ma dopo aver rivelato che il proporzionale è all’opera in Venezuela e in Iran, non altrove, senza grandi effetti democratici, si direbbe. È il filologo un nostalgico beffardo, della democrazia? Né smette di denunciare la falsa sinistra in Italia, di maniera quando non è turpe, per interessi personali, familiari, tribali, grandi e piccoli, proteggendosi con lo scudo dell’antiberlusconismo.
Il filologo tourné scienziato politico avrebbe potuto (dovuto) allargare il fuoco. Al fatto che il maggioritario di per sé non garantisce la governabilità, in assenza di una politica forte, di un progetto meglio che di una leadership, oggi merce contraffattibile. Il fatto più evidente del quasi quarto di secolo ultimo della Repubblica: dei governi Prodi, frastagliatissimi, dei governi Berlusconi 2004, 2001 e 2008, supermaggioritari a nessun effetto, tra i più divisi e meno efficienti, e in questa legislatura del Pd, che ha già sprecato quindici mesi in litigi, e non ha finito.
Canfora evoca il “compromesso” come il cibo del governo democratico - vittima anche lui della parola, se non del progetto berlingueriano: “Nelle società complesse la ricerca del compromesso è l’unica alternativa al conflitto, ed è perciò necessaria”. Meglio avrebbe fatto a evocare il governo Craxi, l’ultimo stabile e efficace (contro l’inflazione al 20 per cento e contro la mafia, avveduto in politica internazionale). E chiedersi perché Craxi volesse comunque la Grande Riforma. Si limita invece a blaterare contro “il famigerato concetto della «governabilità»”. La “mentalità elitistico-giacobina” che denuncia è più caratteristica degli studiosi – degli studiosi che si compiacciono della polemica, quasi sempre non divertente, e sono la parte non minore del problema. Canfora si fa un bersaglio del maggioritario come la sinistra del berlusconismo.
L’attrattiva del polemismo può peraltro essere oscena, e Canfora non se ne guarda. A p.80 irride, lui che meglio di molti ha studiato la Germania di Weimar, al “rischio Weimar” – irride tra parentesi: “(Ma nel quindicennio della Repubblica di Weimar non era stato certo quello della frantumazione in piccoli partiti il principale problema, al contrario la nascita di grossi partiti eversivi!)”. Mentre dei quindici anni di Weimar Hitler ne impiegò ben dodici per emergere, e fu votato soprattutto per disperazone, per l’incapacità di troppi governi, e per l’inaffidabilità del partito Comunista, il più forte d’Europa, ma indefettibilmente filorusso, staliniano. Il Kpd, come tutti i partiti Comunisti, anche il Pcd’I dopo Gramsci, era “intrattabile”, fuori della sinistra e ad essa antagonista: come può Canfora trascurare questa nota dei partiti Comunisti, anche prima del Cominform?. La stessa sequenza che nella repubblica di Weimar, in tempi accelerati, si era avuta in Italia tra il 1919, suffragio universale proporzionale, e la “marcia su Roma – nel mezzo il partito Comunista.
Più caratteristico ancora è questo: lo stalinismo dell’antistalinista. Caratteristica è l’incapacità di vedere perché il partito Comunista fu messo fuorilegge nella Germania Federale, e fuori Parlamento dal salamandering di De Gaulle.
Il centro delle argomentazioni è l’inammissibilità del referendum popolare in materia elettorale: l’art. 75 della Costituzione non lo esclude per un colpo di mano di Meuccio Ruini. Ammesso che sia vero (non lo è), questo è un ragionamento elitistico (dossettiano, o è dispettoso, e di arido intellettualismo o di facile giornalismo). La Costituzione fu soggetta a referendum?
Ci sono delle ragioni nello sveltimento del processo legislativo. Di questo si tratta, non del palio del Saracino. Col facile effetto dei continui rimandi alla legge Acerbo-Mussolini, e al partito-azienda. Mentre il maggioritario della “legge-truffa” era opera di un fascista nientemeno, benché rettore della università di Napoli, del “già robusto fascista” Alfonso Tesauro.
Prolifico come Camilleri, siamo quasi a un libro a settimana, forse in ragione dell’età, e come lui il più letto, forse anche il più leggibile, il filologo è qui meno avventuroso del solito. L’argomento è ineccepibile, benché preso per un terzo dalla “lezione costituzionale di Palmiro Togliatti”, di cui Canfora è l’ultimo paladino, un po’ sperduto nella giungla: un uomo, un voto, e per tale deve contare. Ma con limiti. Perché il rigetto della “legge-truffa”, che Canfora celebra come l’atto massimo di resistenza nella vita ormai lunga della Repubblica, ne ha segnato la condanna. Non della Repubblica, che anzi è ben sfruttata dagli interessi costituiti, ma della funzione pubblica. Della politica, della funzione politica. Che è l’unica arma della democrazia, e l’unico significato del voto, più che il rispetto integrale del decimale.
E poi bisognerebbe svegliarsi. L’“educazione politica delle masse”  non è l’illusione che la nostalgia nutre, del tempo in cui i socialisti prima e poi i comunisti “educavano” le masse? E l’obbligo del compromesso, che democrazia è? Il compromesso, quando è diventato “naturale”, onnicomprensivo, è stato l’inizio della fine della democrazia in Parlamento, col sottogoverno e i poteri costituiti. 

Luciano Canfora, La trappola. Il vero volto del maggioritario, Sellerio,. Pp. 101 € 10

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