venerdì 21 giugno 2013

L’autunno dell’Islam Usa

In Siria, dopo tre anni di guerra civile, l’Occidente non ha saputo produrre un solo volto, una sola sigla di forze di resistenza degna di questo nome, moderna, democratica. Unico riferimento un ufficio propaganda a Londra. Che fornisce i filmati delle stragi. Tenuto da una a sola persona. Un impiegato delle Poste. Forse. Forse dei servizi britannici. In Iraq, a dieci anni dalla pacificazione, i mussulmani sunniti bombardano a giorni alterni le scuole, e poi gli ospedali che curano i ragazzi ancora in vita. Dell’Afghanistan che viene restituito ai talebani che lo stesso Occidente in qualche modo arma e finanzia non c’è che altro dire, dopo dodici anni di guerra e molti morti.
In Nord Africa niente resta delle primavere arabe, se non prevaricazioni e violenze. Non solo in Libia, anche in Tunisia e in Egitto. Non  c’è democrazia in nessuna forma, eccettuato un voto popolare che si dà per buono per carità di patria. E il confronto parte perduto tra la minoranza islamica radicale, organizzata e agguerrita, e le informi masse che sono cercano i diritti minimi e una speranza di sviluppo. Dopo il rifiuto della popolazione locale, si scopre che il presidente egiziano Morsi aveva nominato governatore di Luxor un terrorista, che quindici anni fa aveva ucciso 57 turisti stranieri nella stessa Luxor.
Gli Usa che in campagna elettorale volevano ridicolizzare Obama facendone un mussulmano, in realtà da tempo hanno imposto un’assurda soggezione dell’Occidente alla penisola arabica (Arabia Saudita, Qatar, Bahrein, Dubai). Voluta dai Clinton, da Bush jr. e da Obama, questa sudditanza è solo incongrua. Si tratta di paesi di proprietà privata, familiare. Famiglie di vecchi capi tribù che si comprano l’immunità finanziando e armando l’islam radicale fuori porta. Sono importanti per il petrolio, ma in nessun modo determinanti.

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