Balletto – Quello moderno,
col tutù e le punte, a partire dalla “Silfide”, 1832, fu divisato contro le
femmine? L’invenzione delle punte è atroce. Lo stesso effetto di lievità si
poteva ottenere, e si ottiene nel balletto moderno, senza questa tortura.
Ogni numero “finisce” per lui, per l’applauso all’étoile maschio, mentre è interlocutorio per lei. Eccetto che nel “Cigno”, malgrado
le tante coreografie punitive, perché Čajkovskij
amava le donne
Editoria – Irène Némirovsky
è più edita in Italia che in Francia. Da sei o sette case editrici, Adelphi,
Newton Compton, Editori Riuniti, Passigli, Giuntina, Elliot, Castelvecchi.
Perché i diritti sono scaduti – Irène è morta a Auschwitz nel 1942. In Francia
un autore fuori diritti è già qualcuno che merita un interesse retrospettivo,
critico, selettivo. Da noi fa un pascolo aperto: l’editoria si vuole un’impresa
senza rischio
Fiabe – Nella scelta
delle “Fiabe” dei fratelli Grimm operata da Calvino per gli Struzzi, un
centinaio su circa duecento, non c’è “Il pifferaio magico”. Che è una delle più deliziose, ha ispirato
numerosi scrittori e musicisti, e si fa rappresentare. Calvino dichiara anche
la sua predilezione per “La Luna”. “se dovessimo dichiarare quale è per noi la
storia più bella del libro, e la più completa
di tutte le anime che lo compongono… Mito cosmogonico pagano, novella paesana,
iconografia medievale dell’al di là cristiano, comicità dell’assurdo, sono
concentrati in un paio di pagine dove la «voce» popolare e la sofisticazione
letteraria fanno una cosa sola”. Scelta preziosa, naturalmente. Ma bisogna
diffidare delle indicazioni d’autore, anche simpatico come Calvino? “La Luna” è
divertente più che altro perché è inconcludente – nessuna morale, né mito, né “parità”.
Masse - In letteratura
non vengono bene. Gor’kij se ne tenne lontano, Tolstòj, che ne fa l’anamnesi
non preconcetta in “Guerra e pace”, pure. Vengono bene invece al cinema, che ne
fa grande uso: nei film di guerra, di rivoluzione, e anche in quelli americani
di mafia – i mafiosi si muovono entro le masse.
Mobilitazione – È in disuso,
ma entusiasma ancora Dario Fo. Oggi come un tempo, con la rivoluzione culturale
in Cina e poi, nel 1974 o 1975, nella Cina stessa. “Sull’intelligenza
collettiva mi trovate completamente entusiasta”, dice a Casaleggio e Grillo,
“Il Grillo canta sempre al tramonto”, p. 68. In Cina fo aveva trovato “una
grande spinta al dissenso, alla libera discussione” proprio nelle masse: “Tutto
quello che succede in Cina non è mai una storia di vertici, coinvolge sempre le
masse”. E portava a esempio una fabbrica di Pechino, dove c’erano “due studenti
per ogni operaio”. La mobilitazione eccitava Fo anche da ragazzo, volontario a
Salò: è il modo d’essere rivoluzionario – sovversivo cioè, senza più.
Montalbano – Fa il record
serale di ascolti anche in seconda e terza replica. Rovescia però la regola –
se non è un paradosso - del romanzo al cinema. Che riesce male perché il cinema
“assottiglia”, opera per sottrazione e non sa o vuole rendere situazioni o
personaggi complessi – non la “Ricerca” ma neanche “Bovary”, “Anna Karenina”, o
il “Grande Gatsby” ora sullo schermo. Il Montalbano scritto dice invece meno
che al cinema. Specie nelle caratterizzazioni, trite, Catarella, Fazio, Augello.
E nell’ambientazione, che sulla pagina manca, è solo di eventi. Il vero
Montalbano è di Sironi e Zingaretti.
Perché c’è il rovescio della medaglia: il cinema che “incrementa”
il romanzo. Magari trasformandolo, ma immortalizzandolo. Per il taglio dell’immagine,
il colore, la velocità del montaggio, per mille artifizi. Si ricorda un brutto
giallo francese perché Simone Signoret e il regista Clouzot gli hanno (ri)dato
vita con “I diabolici”. Il Poirot di Suchet “incrementa” di molto quello di
Agatha Christie, che è un modesto risolutore di indovinelli (che egli stesso si
crea), quasi un commesso viaggiatore.
Moravia – Presentando la
riedizione del “Disprezzo” di Godard, in qualche modo nel montaggio originale
cinquant’anni fa (il produttore Ponti, esterrefatto, lo aveva fatto rimontare
come una storia tradizionale, dopo aver investito in un cast costosissimo, Brigitte
Bardot, Michel Piccoli, Jack Palance)), Emanuele Trevi cita lo steso Godard che
sui “Cahiers du Cinéma”, così si difendeva dall’accusa di avere usato come
soggetto un romanzo di Moravia: “Il romanzo di Moravia è un volgare e grazioso
romanzo da stazione, pieno di sentimenti classici e fuori moda, nonostante la
modernità delle situazioni”. Lo aveva usato, aggiungeva, perché solo dai
“romanzi ferroviari” si può tratte un film.
Questo è vero, se i film sui grandi romanzi sono falliti o non si
sono alla fine fatti. Ma su Moravia il silenzio è pesante. Specie da parte di
chi ne beneficiò – Moravia amava essere un potente delle lettere.
Produttività – Quel letteraria
s’incrementa con l’età? Camilleri, 88 anni,
è a un libro ogni due settimane, Canfora, 71, a uno al mese.
Sherlock Holmes – La “New York Review of Books” in aperture
del numero del 9 maggio, e Michele Marsonet su rinabrundu.conm, s’interrogano
sulle nuove interpretazioni al cinema. Da shelorkholmesiani sempre in ansia su
come l’idolo viene estratto dalla pagina. Marsonet pensoso anche sul rapporto
tra l’attore e il personaggio, Maigret vuole solo come Gino Cervi. Ma la cosa è
opinabile: Gabin non è migliore, d’accordo, ma Bruno Cremer sì, la serie
francese è ineguagliabile – tra l’altro molto simenoniana (in nessun punto
Simenon usa i toni forti di Cervi). C’è un modo di essere dell’interprete che
più si confà al personaggio, all’aura del personaggio, il Montalbano di
Zingaretti da noi, e per tutti il Poirot di David Suchet, così particolarissimo
e tuttavia così “aderente” – a che, è da vedere.
Cos’è l’aderenza?
Per spiegarla si prenda 007, per anni succube di Sean Connery. Ma da qualche
anno, dopo vari tentativi falliti, “liberato” da Daniel Craig. Senza meriti
speciali, bisogna dire: è la regia di San Mendes che sa fare il miracolo.
Specialmente difficile peraltro per James Bond perché il retroterra scritturale
è povero: i romanzi di Ian Fleming semplicemente non si possono leggere. Un caso,
questo della regia subliminale e non importuna, specialmente forte nel “Montalbano”
in tv, a opera di Alberto Sironi. Di cui non si parla ma è quello che ha
forgiato la “Sicilia di lusso” dei film, anche dove è povera, praticamente
senza punti di contatto con i romanzi di Camilleri. Senza nessuna
parentela tra Craig e Connery, non fisica né di appeal – l’uno è caldo l’altro è freddo - ma la spavalderia
incosciente sì.
Marsonet si
chiede come mai il suo Sherlock Holmes – e quello dei veri sherlockholmesiani,
opina - sia Basil Rathbone. E ne
inferisce una saggia norma: “Credo non vi siano metodi “scientifici” in
grado di stabilire chi ha ragione e chi torto. Per quanto filosofi come Quine e
soprattutto Davidson insistano sulla dimensione intersoggettiva della
comunicazione, la mente di ciascun individuo resta in certa misura impermeabile
alle influenze esterne. Nella mia, nessuno riuscirà mai a introdurre l’idea che
Sherlock Holmes possa avere un aspetto fisico diverso”. In realtà non è
l’aspetto fisico a decidere, ma il modo di porgersi. Zingaretti non è
siciliano, ma il suo Montalbano non saprebbe essere altro - non c’è altro
siciliano per chi legge, che necessariamente dev’essere siciliano.
D’altra sostanza il secondo problema che Marsonet
pone, il potere evocativo reale dei miti (storie): sento Pegaso e vedo un
cavallo alato, si dice - come: sento Sherlock Holmes e vedo Rathbone. Né l’uno né l’altro trovano posto nel mondo
“reale”, ma abbiamo il diritto di negarne l’esistenza? “Cos’è, allora, il mondo
“reale”? Solo la serie di oggetti fisici che sperimentiamo nella vita
quotidiana, oppure anche i cosiddetti caratteri fittizi che popolano film e
romanzi? La mia opinione – contestabile finché si vuole – è che Sir Basil
Rathbone (deceduto nel 1967) sia stato parte in passato del mondo. Ma ne fa
parte, sia pure a titolo diverso, anche lo Sherlock Holmes che ha il suo volto”,
rendendolo per ciò immortale.
letterautore@antiit.eu
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