sabato 22 giugno 2013

Letture - 141

letterautore

Boccaccio – È napoletano tanto quanto, dopo l’incontro col Petrarca, nel 1350-1351, è classicista, latineggiante e perfino grecizzante. Fiorentino (ma più esattamente toscano) d’anagrafe.
Per tre anni, tra il 1360 e il 1362, mantenne a Firenze, in casa, con uno stipendio, e una cattedra di greco all’università, il bizzoso monaco greco calabrese Leonzio Pilato, che Petrarca aveva incaricato di tradurre l’“Iliade” e l’“Odissea” in volgare. Riuscendo, malgrado tutto, a imparare il greco, a quarant’anni.
Nel “Decameron” è senz’altro più napoletano che toscano – la tradizione toscana semmai rimpolpa di neologismi, e di nuove costruzioni. Sapido e cortese – Napoli, non si crederà, fu cortese, alla corte angioina dell’epoca senza rivali in fatto di “cortesia”, nobiltà d’animo e di pensiero cioè. Nelle lettere Boccaccio vede Napoli “lieta, pacifica, abbondevole, magnifica”, Firenze “triste, grigia e noiosa”. Oberata, per di più, da gente superba e avara, che “bada solo a se stessa”. 
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Critica – È comunitaria. Emanazione delle scuole di scritture. E si esercita sulle scuole di scrittura, seppure nominativamente, per libro pubblicato e per autore.
A opera dei docenti, che regolarmente censiscono le tante novità altrimenti non censibili, che loro stessi hanno presentato e fatto editare – spesso incrociandosi: io critico il tuo, tu critichi il mio, sempre per qualche motivo favorevolmente, in questo l’ingegnosità c’è. A opera anche dei primi laureati.
È una comunità di ex allievi. Dello stesso istituto. E della stessa congregazione.

Dante - È stato il primo e resta il più acceso anticlericale. Quello che ha messo più fieno in cascina per l’anticlericalismo laico, che regolarmente ne riprende gli argomenti, giacobino, massonico, esoterico, ateo. Ma è senza dubbio il più grande spirito religioso di cui resti traccia nelle lettere. Per sentimento  e per dottrina.

Se Asìn Palcios lo voleva islamico, un secolo fa o poco meno, Maria Soresina lo vuole induista. Lo voleva nel 2002, quando pubblicò il suo primo libro da dantista, “Dante tra induismo ed eresie medievali.”. Ora lo vuole esoterista, affiancandogli, nella procedure del viaggio, “Il Flauto magico” di Schikaneder e Mozart, il cammino verso l’illuminazione. Non massonico come nel’opera in musica, ma in ambito cristiano eretico. Fondamentalmente càtaro, giusto l’opera intermedia della stessa studiosa, “Il catarismo nella «Commedia» di Dante”. Un poeta di troppa cultura o di troppe esperienze? Poiché se ne conosce la vita, la prima è l’ipotesi giusta. Ma di “troppa” cultura se si resta alla vulgata del Medio Evo come epoca dell’incultura.

Diritti – Si moltiplicano le edizioni a mano a mano che scadono i diritti, con le morti a Auschwitz. L’anno scorso,  quest’anno, l’anno prossimo.

Dolorismo – Molto diffuso applicato ai bambini, da Susanna Tamaro a Ammanniti, Giordano e Giovanni Greco.

Giallo – Il meccanismo del “giallo europeo”, posto che in Europa la legge non consente indagini penali fuori dalle istituzioni, Camilleri sintetizza come un ragionamento che di tanto in tanto viene toccato dalla grazia di un’intuizione”.

I primi giallisti italiani, rileva Camilleri, erano commediografi. Il teatro è più veloce e sintetico.

Lettura - È fatica. È svago ma è comunque applicazione costante. Merita per questo di essere premiata.

Pirandello – Il teatro nel teatro è anticipato da Poe, da Potocki. Anche da Shakespeare naturalmente. Dall’Ariosto.

Saviano - Saviano è published by arrangement with Roberto Santachiara Agenzia Letteraria. È anche scritto by arrangement? I suoi libri hanno un singolare sapore di opera a più mani.

Seriale – C’è la scrittura, e c’è il lettore seriela. Che legge tutto di uno scrittore. Anche gli scritti più irrilevanti, tipo la nota della spesa. Come un collezionista. Per una forma di fedeltà, fino all’immedesimazione. La scrittura è una forma di divismo, attrae e immedesima. È carisma prima che critica.

Sherlock Holmes – Al contrario di Dio, non è mai stato donna. Watson invece sì. Nella famosa comunicazione di Rex Stout ai Baker Street Irregulars, nel pieno della guerra contro Hitler, anzi a Londra sotto le bombe di Hitler.
Rex Stout ci arrivò, disse, per analogia col cane nella notte: “Il fatto singolare del cane nella notte è, come sappiamo, che non abbaiò; e il fatto singolare su Holmes nella notte è che non va mai a letto”. È perché ha la dentiera, si chiede Stout? O perché Watson ha la parrucca? “È possibile”, si risponde, “ma troppo ovvio, e comunque non è sinistro”. Il fatto è che si evita la scena madre, per essere Watson donna.
Non può essere che donna, argomenta Stout, sulla base di sette tracce, di cui quattro nel primo libro delle sacre scritture, “Uno studio in rosso”, e di due conclusioni. A p. 9 “lui ha già fatto colazione ed è uscito prima che io mi alzassi”. Nella stessa pagina, Watson cerca di “penetrarne la reticenza”. Due pagine dopo si commuove perché “su mia richiesta mi ha suonato al violino alcuni dei Lieder di Mendelssohn”.  Nella pagina seguente, è Watson che parla,  “mi alzai un po’ prima del solito, e trovai che Sherlock Holmes non aveva ancora finito la colazione, il mio coperto non era stato apparecchiato né il mio caffè preparato”. Chi se non una donna può parlare così, conclude Stout. Non sappiano se moglie o amante ma - è la seconda conclusione - “questo rafforza la nostra speranza che Holmes non abbia vissuto tutti quegli anni nel peccato”, giacché è stato fedele per oltre un quarto di secolo.
Le altre tracce sono due svenimenti di Watson alla vista di Sherlock Holmes dopo una certa assenza. “Il più vecchio cliché uxorio del mondo”, dice Stout, “«sono una delle più infelici mortali!» lo usava già Eschilo”. Il secondo svenimento segue la sparizione e riapparizione, dopo tre anni, di Holmes senza motivo e senza giustificazione, se non aggrovigliati ragionamenti “sotto il livello d’un scemo di paese”.
Attraverso una laboriosa indagine numerologica, operata sulle 60 opere del canone, Rex Stout poi individua il nome di Watson: è Irene. Come Irene Adler, l’unica vera donna di tutta l’opera.
Il cane nella notte è in “L’avventura del barbaglio argento”, 1892:
“C’è nessun altro punto su cui vorreste attirare la mia attenzione?”
“Il mezzo incidente del cane nella notte”.
“Il cane non fece nulla nella notte”.
“È quello il curioso incidente”, rimarcò Sherlock Holmes.

È un po’ queer, questo sì, anzi non poco, seppure non una drag queen. O lo è Watson? La coppia insomma è gay, senza dubbi. Basta rileggere le sette stesse tracce di Rex Stout e le due conclusioni, senza il linguaggio oggi superato di Stout- dal femminismo e non solo.


Però è vero che Watson, cioè Conan Doyle, scrive le avventure di Sherlock Holmes con occhio femminile. Non sempre, ma soprattutto.

letterautore@antiit.eu

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