mercoledì 12 giugno 2013

L’italiano nudo Camilleri

Anche qui Camilleri è facondo, ma a volte divertente, quando non è insopportabile. È una raccolta di scritti vari, lezioni magistrali, relazioni a convegni, prefazioni, recensioni, articoli, e non poteva dare che il solito Camilleri, militante e ambiguo. Blagueur amabile, dall’aneddotica lieve e divertente, e opportunista. Mentre accumula scemenze di saggezza.
Quelle del “saggio” centrale, “Cos’è un italiano?”, sembrano impossibili – è inutile riassumerle, sono insensate. Tanto più in una compilazione che segnala non meno di cinque lauree honoris causa all’autore del “saggio”, in prestigiose università italiane, in: Storia dell’Europa (qui siamo al dottorato di ricerca), Psicologia applicata, clinica e della salute, Filologia moderna, Lingue e letterature straniere, Sistemi e progetti di comunicazione. Più l’inaugurazione di un anno accademico. Il “saggio”, Camilleri ci preinforma orgoglioso, è “diventato un libro in Germania e in Francia”. Non per le frasi fatte? Lui non lo sospetta, poiché l’italiano di Camilleri è Camilleri – che per questo è anche esterofilo: per Camilleri di buono ci sono i dialetti e l’Estero, qualunque sia. E i dieci milioni di Montalbano, anche alla terza replica, dopo le lauree? Questi italiani sono camilleriani.
Però, la raccolta è di scritti in italiano, volendo si possono leggere. Con qualche godimento anche. Più frequente nei ricordi di personaggi, siciliani o molto camilleriani “amici e maestri”. Come Sciascia, che se ne tiene a distanza. “La difesa di un colore”, del giallo narrativo, italiano e non, è quasi perfetta.  L’antiberlusconismo obbligato assurge in più punti al cabaret. Da ultimo nelle note favole. Dalle quali ha espunto quella in cui augura la morte al Cavaliere. Non stava bene, essendo il Cavaliere lo stesso che immortala Camilleri nei suoi “Meridiani” e ne tiene su la linea in convegni e seminari. O forse perché è cominciata l’appopriazione gesuitica del cadavere del nemico. O anche semplicemente perché, volendosi comunista, lo scrittore ha scoperto che nessun comunista vuole la morte del suo nemico, sia pure cattivo. Camilleri lo aveva fatto per sgherzo, perché è siciliano e guitto, mezzo Ficarra Picone.
Dovendo parlare di lui, poiché è di lui che il libro parla (“Alcune cose che ho dentro la testa” è il sottotitolo), si conferma che Camilleri non si può dire ipocrita. È anzi esplicito: il suo compaesano Pirandello amava le maschere, lui è per l’uomo nudo. Invitato a un convegno del Csm rimprovera i giudici con asprezza. Ma non si sa vestire. Nel primo gruppo di scritti, sul cinema, critica naturalmente la Fininvest, che ha “abbassato” la qualità della tv. Per poi dare voce a un esperto americano che gli rimprovera, in quanto produttore Rai, “l’assoluta eleganza” di “Studio Uno”, il varietà del sabato sera di Antonello Falqui: “Voi sprecate cinque, sei star in un’ora. Da noi una star dispone al massimo di un ospite. Sarebbe troppo costoso produrre e vendere uno spettacolo simile”. La vera “America”, si sa, è a viale Mazzini - talvolta con l’Iva.
Ha anche qualche complesso, sembra che il fascismo lo abbia tarantolato. Per essere stato fascista fino al 1943, ai diciassette anni. Onorato l’anno prima, sedicenne, con l’invito a tenere una relazione sul teatro giovanile, al raduno fiorentino del Nuovo Ordine Europeo, le gioventù hitleriane del famigerato Baldur von Schirach. Sembrerebbe un complesso di colpa, ma Camilleri ha appena plaudito Amerigo Bartoli, altro fascistone simpatico, che su “Primato”, la rivista del fascismo, nel 1942, anno trionfale, ha ridotto Croce a storico di “storielle”. Non ha preso dalla sua creatura Montalbano, che non si angustia, non per la memoria. Ora, poiché è felicemente a un libro a quindicina, aspettiamo il camilleriano colpo al cerchio e uno alla botte sul governo delle larghe intese.
Andrea Camilleri, Come la penso, Chiarelettere, pp. 340 € 13,90

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