Una poesia – figurata – sempre più
discorsiva, “naturale”. Spontanea come una conversazione, benché sapiente, di
ritmi, assonanze, risonanze. Non esclusa quando è necessario la rima, e allora
incantevole carillon. Attorno al “destino”, più o meno figurato, del qui, noi,
oggi:- “Ostinarsi a far parlare il nulla\ a cercare parole che non hanno
voglia”, è l’incipit – “Che meraviglia\ essere in vita,ci si può persino
lamentare”. Per la lievità, tutto sommato, della condizione umana, sempre
gratuita: “Se i miei numeri non vincono\ anche quando non li gioco”. Patrizia
Cavalli non delude, anche se, o perché,
parca e non intrusiva, il lettore esigente e quello svagato.
“La patria”, “lunga tiritera”, che è
madre, vedova (ma “ci sono sempre i nonni,\ le zie con le pensioni,\ non
mancheranno mai canne e birrette”), magari “quel padre che ha nel nome”, o
“donna giovane, ma austera”o “una scostumata”, perché no, “una pazza\ che dorme
per strada”, o il solito “corrusco angelo di nordiche\ ascendenze che siede con
lo sguardo\ diretto chissà dove”, fino a portare “allo scoperto, bello
compatto, il padre”. Se non è il “macellaietto,\ guance rosa, che forse più che
patria\ è patriota, visto che grida sempre\ Ciao Patrì”.
Ricorrente è l’apoteosi dell’ipocondria, rivoltata in irrisione, burlesca. Una vindicatio - volersi malati è da torturatori. Con qualche gigioneria. L’innamorata
metereopatica del libretto d’opera “Tre risvegli” (non musicato?) rischia il
capolavoro, specie nei recitativi, e avrebbe potuto reinventare l’opera buffa,
senza l’aria di bravura – non quella canora, quella stilistica.
Patrizia Cavalli, Datura, Einaudi, pp. 123 € 12
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