giovedì 27 giugno 2013

L’opera comica di Patrì

Una poesia – figurata – sempre più discorsiva, “naturale”. Spontanea come una conversazione, benché sapiente, di ritmi, assonanze, risonanze. Non esclusa quando è necessario la rima, e allora incantevole carillon. Attorno al “destino”, più o meno figurato, del qui, noi, oggi:- “Ostinarsi a far parlare il nulla\ a cercare parole che non hanno voglia”, è l’incipit – “Che meraviglia\ essere in vita,ci si può persino lamentare”. Per la lievità, tutto sommato, della condizione umana, sempre gratuita: “Se i miei numeri non vincono\ anche quando non li gioco”. Patrizia Cavalli non delude,  anche se, o perché, parca e non intrusiva, il lettore esigente e quello svagato.
“La patria”, “lunga tiritera”, che è madre, vedova (ma “ci sono sempre i nonni,\ le zie con le pensioni,\ non mancheranno mai canne e birrette”), magari “quel padre che ha nel nome”, o “donna giovane, ma austera”o “una scostumata”, perché no, “una pazza\ che dorme per strada”, o il solito “corrusco angelo di nordiche\ ascendenze che siede con lo sguardo\ diretto chissà dove”, fino a portare “allo scoperto, bello compatto, il padre”. Se non è il “macellaietto,\ guance rosa, che forse più che patria\ è patriota, visto che grida sempre\ Ciao Patrì”.
Ricorrente è l’apoteosi dell’ipocondria, rivoltata in irrisione, burlesca. Una vindicatio - volersi malati è da torturatori. Con qualche gigioneria. L’innamorata metereopatica del libretto d’opera “Tre risvegli” (non musicato?) rischia il capolavoro, specie nei recitativi, e avrebbe potuto reinventare l’opera buffa, senza l’aria di bravura – non quella canora, quella stilistica.
Patrizia Cavalli, Datura, Einaudi, pp. 123 € 12

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