È difficile perdere come Alemanno. Non solo il Campidoglio
ma tutti i quartieri, i venti o
quindici municipi, ex circoscrizioni,
che amministrano la città. Alemanno ci
è riuscito. E non fortuitamente, come gli era avvenuto di vincere cinque anni
fa, perché allora tutti gli ex Pci si erano rifiutati di votare Rutelli. È difficile
perdere con tale distacco, quale quello di Alemanno nei confronti di Marino,
candidato peraltro improbabile. E soprattutto lasciando gli elettori a casa,
vuoi perché freddi, vuoi perché i capobastone della destra hanno così
consigliato per metterlo fuori gioco. A Roma ha votato un terzo degli aventi
diritto, e quasi tutti per Marino.
Se Roma è la capitale dell’impolitica è forse proprio
per questo sindaco, che sembra non avere capito nulla. Mai un’idea o una cosa
fatta. Collaboratori incapaci, infedeli, corrotti, quasi tutti sotto processo.
Un trasporto pubblico talmente mal gestito che è difficile pensarlo – da ultimo
coi mille autisti che rimpolpano gli straordinari col cachet di scrutatori ai
seggi, lasciando a terra i possibili elettori.
L’unica cosa di questi anni è la resurrezione
dell’Opera. L’Opera lirica. Fa sensazione andare all’Opera e leggere: presidente
Alemanno, vice-presidente Bruno Vespa. Ma ancora più sensazione è vedervi i
migliori spettacoli di questi anni, e soprattutto un organico che era stato
abituato per trent’anni a non lavorare, orchestra, coro, corpo di ballo, amministrativi,
diventato all’improvviso solerte e efficiente. Se non che questo è l’esito della
venuta a Roma di Muti, licenziato dal soviet della Scala, un apulo-milanese. E
di Catello De Martino, il sovrintendente, che da nome si direbbe napoletano.
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