Oggi venticinque anni fa il giudice
Pomarici formalizzava il caso Sofri, l’imputazione a Sofri dell’assassinio
Calabresi. Il colonnello Bonaventura, che ne fu l’artefice, è morto, ma tutti
gli altri attori del caso sono vivi, giornalisti, giudici, testimoni, e
potrebbero raccontare la verità. Marino soprattutto, che non è perseguibile, un
bel libro di memorie potrebbe scrivere. A sgravio di coscienza. Nell’attesa
riepiloghiamo il fatto.
“Per il
sostituto procuratore Ferdinando Pomarici non ci sono dubbi: Leonardo Marino
dice il vero quando confessa d’aver guidato l’auto, quando accusa Ovidio
Bompressi d’aver sparato, quando dice che i mandanti furono Adriano Sofri e
Giorgio Pietrostefani. Undici mesi esatti dopo i mandati di cattura, diciassette
anni dopo l’omicidio, l’inchiesta sulla morte del commissario Luigi Calabresi
è chiusa” – “la Repubblica”, 29 giugno 1989. Ma il vero processo è ancora da
fare.
Subito le indiscrezioni passate all’“Unità” e a “Panorama”. Ogni
pochi giorni una notizia scaccia notizia, tutte infondate, tutte gravi: covi di
armi, cascine nascoste, l’arma del delitto, testimonianze anonime sicure, partigiani
sbandati, arresti e controarresti. Infine, dopo un anno, l’accusa formale. La
fantasia malvagia non difetta, o l’arsenale della disinformazione: “Panorama”
era allora di sinistra, la scelta dei cronisti giudiziari mostra in radice la
“costruzione” del caso. Era tutta qui l’“inchiesta” di Pomarici. Col patrocinio
di Borrelli, il futuro Grande Inquisitore, inaugurando la serie di processi, di
fonte quasi sempre oscura, che s’imporrà come Mani Pulite. Col sistema
dell’indiscrezione pilotata, prima che la vittima possa difendersi.
Nella fattispecie, il rinvio a giudizio inaugurava una serie di dibattimenti
che resteranno una vergogna del sistema giudiziario, con giudici violenti in
aula, irridenti nelle sentenze, o apertamente truffaldini. Una sentenza
d’assoluzione fu scritta in modo che venisse cassata. A carico di uno che sicuramente non ha organizzato, né chiesto,
l’assassinio di Calabresi. Senza nessun riscontro, l’arma, le automobili, i
testimoni oculari, Dario Fo ci poté fare una “commedia” piena di mancanze, col
tempo e le distanze variabili. Sull’unica prova dell’accusa di Marino, livorosa
ma incerta. Si doveva colpire Sofri, e fu fatto. La controprova è che i suoi
correi, Bompressi e Pietrostefani, vennero trattati l’uno con clemenza,
dopotutto era per l’accusa l’assassino, l’altro nemmeno cercato, al suo lavoro
in Francia. Anche Marco Boato e Paolo Liguori furono inclusi nell’eliminatoria,
ma in qualche modo la scapolarono – Marino, per loro come per gli altri, a
giorni ricordava a giorni no, ma per loro alla fine fu deciso per il no.
Il caso dei servizi
Il giudice Pomarici lavorava con i
servizi segreti. Il
colonnello Umberto Bonaventura, carabiniere, veniva dalla famigerata divisione
“Pastrengo”, quella dello stupro di Franca Rame, ed era dei servizi segreti,
specialista della controinformazione – tratterà lui il “Dossier Mitrokhin”, che
infamerà non pochi giornalisti onesti. Collaborano (collaboravano) con i servizi
molti dei sodali di Sofri – forse non molti, ma alcuni sì. Nacque con questo
caso la commistione letale media-giudici. Letale per la democrazia, i
condannati in genere poi vengono recuperati - quelli disponibili, non Moro per
esempio.
Molto si fa pesare, specie dall’ex Pci, la
violenza della campagna di stampa di Sofri contro Calabresi. Ma un assassinio
non è un articolo di giornale – a parte il fatto che le responsabilità di
Calabresi, che c’erano, non si sono volute cercare, nella detenzione di Pinelli
e nell’imputazione degli attentati agli anarchici, solo la sordida curia
ambrosiana può pensare di beatificarlo. Per restare a Milano, e al connubio
giudici-media, la violenza delle sentenze Magi e Turri contro Berlusconi è
ancora più sproporzionata. E tuttavia, se qualcuno uccidesse Berlusconi nessuno
potrebbe dire che i giudici sono stati i mandanti. Nessuno del resto imputa
all’ex Pci e ai suoi editori e giornali, i beneficiari del conto Rodetta e
delle altre tangenti svizzere liquidate con l’Urss, tramite Valerio Occhetto
e Vittorio Veltroni, i “fratelli minori”, le loro violente campagne
di stampa - l’ex Pci ha molto da farsi perdonare, prima, durante e dopo la
caccia alle streghe, ma questa è un’altra storia.
Sofri ha deciso di non far valere le sue ragioni. E anzi, onestà
vuole che si dica, di stare coi suoi persecutori. Ma quelle della giustizia non
si possono obliterare: un giorno bisognerà rifare il processo Sofri. Non per la
giustizia, che è dei giudici, cioè di una corporazione fascista. Ma per la
verità. E soprattutto mettere a nudo, prima che i comprimari se la squaglino,
giudici, giornalisti, spioni, lo squallore che lo ha ispirato, se non fu un progetto eversivo.
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