Un vantaggio comparato enorme, soprattutto sull’Italia e in parte sulla Francia, grazie allo spread, e un quarto della forza lavoro a retribuzioni irrisorie. A lungo rimosse per un falso europeismo, le ragioni del miracolo tedesco in questi anni di crisi europea e di recessione grave per l’Italia sono infine manifeste. Parte la campagna elettorale per il voto di settembre, mentre il miracolo di Angela Merkel si sgonfia (quest’anno l’economia crescerà dello 0,3 per cento, e forse non crescerà) a causa della recessione indotta sul resto dell’Europa, e i coltelli si sono affilati nel pur massiccio nazionalismo tedesco.
L’esaurimento del vantaggio comparato è anche la ragione per cui la stessa cancelliera Merkel è ora favorevole a piani Ue di rilancio dell’economia, abbandonando la già irrinunciabile disciplina fiscale. Lo spread, alimentato per due anni a fini concorrenziali dai politici tedeschi, e dai banchieri centrali, con dichiarazioni minacciose, ha consentito alle aziende tedesche di finanziarsi a tassi reali negativi (nominali attorno all’1 per cento), mentre in Italia il tasso più favorevole era l’8 per cento, ma per la maggior parte delle aziende ha valso il credit crunch, cioè un credito restrittivo, col contagocce e carissimo.
Il mercato del lavoro è per un quarto abbondante precario: 7,5 milioni di minijob, a 400 euro, al mese; 3 milioni a termine; 1 milione di lavori saltuari occasionali. L’Agenda 2010 del governo rosso-verde di Schröder nel 2002-2003 fu in realtà la liberalizzazione più spinta del mercato del lavoro come rimedio alla disoccupazione e alla globalizzazione. Ottenuta dai sindacati aggredendo gli ammortizzatori sociali, la copertura sanitaria, e le pensioni.
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