“Il volto
dell’Unione Sovietica è l’austero, grigio, grave volto dell’umanità operaia”. È
un complimento. Ma svagato, come tutto, grigio in proprio. L’effetto di uno dei
tanti viaggi “organizzati”, come usava, tutti uguali. Con la solita scrittura
delle quattro verità: un po’ di sociologia, un po’ d’economia, un po’ di
politica, e un po’ di escatologia. Moravia vi aggiunge la notoria abulia al suo
picco. Dei russi, oltre al grigiore operaio, solo ci dice che il cuore,
solitamente “insondabile e complicato”, essi hanno “insondabile”. Leningrado limita
alla cameretta di Dostoevskij, seppure in dettaglio. Mosca al mausoleo di Lenin
e Stalin.
Locupletata
di un sontuoso apparato storico-critico di molte pagine, tanto più questa
riedizione stringe il cuore. La sorpresa è solo Beria sciupafemmine – questa è
sfuggita a Malaparte. Ma finisce in tre righe. La curiosità è: perché Moravia
vi si è assoggettato, nel 1957, l’anno dopo il ferale 1956? Anzi: perché peggiora
il già malfatato genere? Il viaggio nell’Urss è stato un genere molto frequentato
senza produrre niente che si ricordi - a parte Robert Byron di striscio,
Malaparte pure, e forse Alvaro (Céline e Gide ne fecero l’occasione di una
denuncia politica, ma a essa niente sopravvive nemmeno dei loro viaggi).
Moravia accomuna Majakovsky e Fadeev nel suicidio (specifichiamo: Fadeev,
suicida alla destalinizzazione, è il nulla che sostituì Gor’kij all’Unione
scrittori, per andare ai congressi della pace e acclamato dire: “Se gli sciacalli
imparassero a scrivere a macchina e le iene a usare le biro scriverebbero le
stesse cose di Henry Miller, Eliot, Malraux e i vari Sartre”.). i scrittori, suicida alla destalinizzazione). Parlare
dell’Asia come terra incognita. Albergatrice di religioni rozze e violente. O
dell’ortodossia come una religione di servi. dell’asservimento. Moravia co(mi)nformista?
Alberto
Moravia, Un mese in Urss, Bompiani,
pp. LXVI + 125 € 9,50
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