martedì 2 luglio 2013

Gadda muore piangendo Manzoni – la giovinezza

Gli viene da piangere sui “Promessi sposi”. Arbasino ha raccontato la stessa cosa nell’“L’ingegnere in blu”: a Gadda in ospedale i “giovani” leggevano Manzoni e lui “ascoltava attento, sdraiato, immobile. Ma aveva uno sguardo spaventato”. Era un ritorno all’adolescenza, a Milano tradita? Gli ultimi mesi di Gadda furono atroci. Qui, tre note spalmate su tre mesi, è solo, trattato dalla badante come un rimbambito, al buio perché “tanto non legge”, imbelvito a volte, la sopportazione non bastando.
Alla soglia degli ottant’anni l’ultima testimone della morte del suo “scrittore assoluto”, ne ricorda i momenti finali. Per l’amicizia di cui l’Ingegnere l’aveva colmata, dopo un’intervista per la Rai nel 1972, “una consuetudine naturale e quasi familiare, che mi emozionava e onorava”. Il ricordo è affettuoso, il diario triste. Una dozzina di paginette in tutto (il resto è preso da una nota di Andrea Casòli), ma valgono come una biografia. C’è la morte di Gadda, non diversa dalle altre morti, ma c’è una non necessaria brutale agonia.
I memorialisti del Gadda privato ne fanno una macchietta, cerimonioso, imbranato. Bizzarro anche nelle ultime ore. Qui non è dispettoso, semmai giustamente in collera, e non è ipocrita: ha bisogno a volte della “signora Ripa di Meana” e la chiama al telefono, le chiede il favore di venire e trovarlo, di leggergli qualcosa.
Ludovica Ripa di Meana, La morte di Gadda, Nottetempo, pp. 30 € 3

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