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Censura – Si celebra Cancogni per una vita irriso - più di Cassola. Per l’arte funeralizia – appropriarsi del morto: Cancogni è ben vivo, ha anche molta voglia di parlare e farsi celebrare, ma ha 97 anni. Lui gli articoli più belli – “apprezzavo il giornalismo più della letteratura” – ricorda di averli scritti per “L’osservatore romano”. Miscredente. Invitato dal giornale vaticano. Non molto tempo fa, dopo la caduta del Muro. Non lo dice per opportunismo, non ha paura dell’aldilà.
Dante – È scrittore di libri su libri. Non per caso nasce retore. L’Ulisse della “Commedia”, l’avventuroso per eccellenza, non è quello dell’“Odissea” – allora peraltro inaccessibile, se non nelle volgarizzazioni. Lo stesso è Virgilio. O il viaggio nell’oltretomba.
Instant – Dopo il libro, diventa instant anche il film, con la videocamera, l’i-phone e youtube – c’è anche il semi-instant movie, con un po’ di sceneggiatira dietro. Sotto forma di reality: s’impone tutto quello che capita, per 90-100 minuti. Senza limiti: l’instant film più diffuso è il biopic, la biografia – di celebrità e anonimi. Nel quadro più vasto del docu-film. Ma con effetto diverso dal libro, che mantiene una funzione come attualità, trattazione estensiva di un fatto o un tema. Il docu-film, senza una sceneggiatura solida e comunque senza montaggio, è invece il dissolvimento del fatto in immagini dissolte e dissolutorie.
Internet – La biblioteca da incubo di Borges. Di tutto, o di quassi tutto, che è la stessa cosa. O da sogno, che non può che essere incubo. Inevitabilmente soverchiati dall’inutile e dall’irrilevante. Molte le trascura, ma moltissime inezie conserva e avvantaggia, spinge a emergere. Senza imporle, col suo ventaglio sempre amplissimo di possibilità o ipotesi, ma in realtà sovrapponendole a ogni intenzione. Imponendo la fine comunque l’impotenza e la resa: perché scrivere? perché leggere? perché studiare? perché applicarsi alle idee, la scrittura, l’etica, il linguaggio, la verità. È il trionfo della democrazia nel suo terrificante, non tanto ambiguo, annullamento di ogni vita.
Del pulviscolo di Internet gli strumenti più popolari sono quelli del mondo virtuale: le chat, le varie piazze su cui sciorinare l proprie mutande, da Second Life a Facebook e You tube, e anche i forum, per quanto aperti su eventi reali. A isolarsi cioè. O a fantasticarsi – sempre riflessivi - in compagnia di sconosciuti. La vecchia conversazione da bar o da treno. Con in più il piccolo privilegio di sentirsi migliori perché moderni, e di privilegiare l’inesistente come se fosse il vicino migliore, …, la realizzazione del sogno.
Ha portato il grande pubblico alla lettura – magari delle interiezioni, ma pur sempre alla lettura. E molti hanno preso a scrivere, che prima non si esprimevano. Si conservano biblioteche in piccoli dischi, e se ne evidenziano i contenuti. L’archiviazione ha forse sciolto dal suo paradosso, l’irreperibilità: mettere in archivio era inviare all’oblio, mettere online è invitare al riscontro. Si mettono a disposizione musei, in copie fotografiche, è vero, ma comodamente a casa
Restano solo gli Usa. L’asservimento agli Usa, definitivo, con lo spossessamento della lingua. Si opera in Internet solo in americano, che non è una lingua non solo diversa, ma chiusa, nello slang giornalmente rinnovato e nei modi di dire, è una mentalità, un linguaggio, una cultura estranei ai quali umilmente bisogna acconciarsi. L’etere è “americano”: procedure, anonimato, invadenza. La democrazia del numero.
Lo stesso la scrittura, che si vuole dell’innnovazione ma non della sperimentazione, e anzi pratica, filante. Facendo aggio su sensibilità (mondi) nuovi, internettiani. Freddi. Si premiano avventure del linguaggio ben posate, ma di realtà "altre" (Murakami, Foster Wallace, Bolano), che non lasciano presa. aliene.
Internet è veloce-breve. Solletica la lettura debole. Mentre necessiterebbe una lettura forte, critica, accorta. Per le tante scemenze che rifila, talvolta ad arte.
Italia - Il 19 dicembre 2007 Valerio Magrelli segnala il “Dizionario affettivo della lingua italiana”, in via di pubblicazione da Fandango, in cui uno scrittore segnala la sua parola preferita: “Ebbene, alla voce «Italia», Tommaso Giartosio suggerisce di pensare al modo in cui questo termine, deformato in «Itaglia», sia diventato l’emblema dell’ignoranza nazionale. Per dire che qualcuno è buzzurro, lo si definisce «itagliano»”. Ma c’è un problema. Infatti, l’esito naturale del latino “Italia” dovrebbe essere proprio “Itaglia”, come “foglia” è derivato da “folia”, e “figlia” da “filia”. Insomma, dovremmo davvero chiamarci “itagliani”: “perché non è cosi?” si chiede Magrelli.
Ora,questo lo scrive un poeta, sul “Corriere della sera”, in un fondino contro la corruzione della Pubblica Amministrazione, non il professore d’italiano della media di paese. Si può dire di tutto, niente ha più significato: la perdita di significato (Barthes, Eco, Jakobson) si attaglia all'Itaglia.
Terzo mondo – Vive in letteratura, nei romanzi e anche nella poesia, come fondale. Sempre il solito esotismo, anche se a opera di grandi scrittori locali, da Garcia Maquez e Amado a Khaled Hosseini. O dobbiamo rivalutare l’esotismo? Era vero?
Mancano però molti fatti. La cocaina. L’indigenza estrema di mezzo Brasile, ancora oggi. La violenza. La crudeltà. La deiezione. Esiti inevitabili dell’inevitabile diseguaglianza, benché estrema? Questo no. Il mercato ama la scena colombiana e quella afghana, anche quella brasiliana, ora un po’ meno, ma addomesticata, familiare. Ouologuem, o Kourouma, lo stesso Soyinka premio Nobel invece no.
letterautore@antiit.eu
venerdì 12 luglio 2013
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