“Non vogliamo più l’utilizzo dei fondi
(europei) per eventi come il concerto di Elton John a Napoli, o l’autostrada A
3 Salerno-Reggio Calabria”, proclama martedì il commissario europeo per le
Politiche regionali Johannes Hahn. Ignoranza? È possibile.
Il commissario all’Industria, nonché
vice-presidente dell’esecutivo europeo, Antonio Tajani, un italiano, gli dà
ragione. Damned!
Gli
italiani ci sono, bisogna fare l’Italia
Sono ritornate per
i centocinquant’anni dell’unità le polemiche sul brigantaggio al Sud. Se non fu
un fatto politico di resistenza, e di cieca e feroce repressione. Con
spiegamento di antropologie sul brigantaggio e di revisionismi storici. Mentre
un fatto è chiaro, per lo storico (le antropologie lasciano il tempo che trovano):
non ci sono briganti nati, ci sono briganti (mafie) quando il potere (lo Stato,
il Commonwealth di Hobbes) li consente. In questo caso si diffondono anche,
“controllano il territorio”, “rispondono alla domanda sociale”, e perfino alla
mentalità, poveretta, eccetera. Per lo storico dell’unità il brigantaggio ha un
solo rilievo, quale che fosse la sua natura, tutta cospirativa o tutta
criminale, oppure mista: la durezza della repressione. Senza l’artiglieria, ma
con tutto il restante armamentario di una guerra. Contro un Sud messo sotto
occupazione militare, senza distinzione di buoni e di cattivi. La parallela
durissima repressione dei moti democratici di Palermo nel 1862, a meno di due
anni dagli entusiasmi garibaldini, con lo stato d’assedio proclamato in tutto
il Sud il 20 agosto, non hann o nulla a che vedere con i briganti.
L’unità veniva
subito convertita in occupazione militare. Un errore, tutto sommato. Un disegno sbagliato – poco
produttivo. Sulla base di un pregiudizio. Di interessi costituiti, interessati
a liquidare il Sud. Ma di più, considerandone la persistenza, anche contro ogni
convenienza. La frase famosa di D’Azeglio “l’Italia è fatta, bisogna fare gli italiani”
è al contrario che funziona: “Gli italiani ci sono, resta da fare l’Italia”.
Il Sud non conviene
L’ultimo
meridionalismo, trent’anni fa, si articolava con l’arsenale terzomondistico,
della cancellazione dell’identità a fini di sfruttamento. Era una posizione
resistenziale, del “razzismo antirazzista” che Sartre aveva spiegato nell’“Orfeo
nero”. Ma solo in parte vera, nella cancellazione dell’identità. Quanto allo
sfruttamento è sempre stato dubbio che il padrone abbia interesse ad annullare
o invalidare lo schiavo. Nella vecchia economia agropastorale come in quella
contemporanea dello scambio: lo schiavo serve in buona salute.
Molti degli
argomenti della dipendenza a fini di sfruttamento sono veri: l’esercito del
lavoro di riserva, e la forza lavoro in eccesso per comprimere il salario. Sono
strumenti che sono stati utilizzati. Ma in un’ottica sbagliata – si dice di
corto respiro ma è sbagliata. L’ipotesi keynesiana è sempre la più valida:
l’effetto di traino salario-reddito-consumo sulla produzione e i profitti
(remunerazione del capitale, investimenti, produttività).
La dipendenza c’è,
e si esprime sul deprezzamento o la cancellazione dell’identità per un
pregiudizio prima che per l’interesse. Per lo stesso motivo è coriacea, inattaccabile
a qualsiasi argomento. Se non alla rivolta, alla cosa compiuta.
Tutto questo è
stato detto, da Frantz Fanon a partire dal 1952, “Il negro e l’altro”. Il
problema non è dunque di conoscenza: è la natura del pregiudizio di essere
indistruttibile al ragionamento, solo a un ribaltamento. La dialettica
negativa, o il razzismo antirazzista di Sartre.
Mafia
È un delitto all’origine e
prevalentemente contro la proprietà: protezione, grassazioni, espropri,
estorsioni, usura, rapimenti di persone. Per questo poco contrastato, e di
malavoglia. Finché non è arrivata la Lega, che protegge la proprietà.
La definizione non sembra
attendibile. Non è sociologizzante, non è pauperistica, è di classe, va contro
l’opinione dominante, non risolve l’intreccio mafia-politica. Ma è la più vera,
aderente alla realtà. È su queste basi che si è sviluppata 50-60 anni fa la
‘ndrangheta, in precedenza una onorata società di uomini d’onore senza denti, una
piccola massoneria paesana, di nessun rilievo per la società. È stata sempre
questa l’attività della mafia propriamente detta e della camorra. Il
contrabbando prima e la droga poi sono estensioni dello stesso “mercato”: una
volta imposta l’illegalità, attraverso l’azione antiproprietaria, la droga è un
investimento. Privilegiato per gli alti rendimenti a fronte di un rischio irrisorio. Il primo settore della
mafia imprenditrice di Cordova e Arlacchi. Più degli appalti, altro settore a
rendimenti altissimi, per la pratica costante della corruzione, e delle
“diversificazioni” (turismo, intrattenimento, ristorazione, pompe di benzina,
sale giochi…) nei settori a forte scambio quotidiano di contante, per il lavaggio
degli utili criminali. La politica entra nella mafia per via obliqua e
ancillare: gli appalti e la “disattenzione”, tipicamente cattolica o di
sinistra, dei pubblici poteri di contrasto.
Poiché i parroci hanno esautorato o
sciolto in ogni paese, su direttiva antimafia dei vescovi, le procure della
festa del Santo, le organizzazioni laiche che provvedevano alle luminarie, i
fuochi d’artificio e i concerti della festa, con una spesa da 50 a 100 mila
euro, sostituendole con procure di scout o signorine, le feste ora si fanno in
ogni paese laiche e più fastose, con grandissimi nomi per i concerti, sempre
gratuiti, nel nome della birra, dello stocco, della prugna, della patata, o
come notte bianca. E si dice: sono imbattibili. Le mafie, s’intende. Nascono
così le onnipotenze. Mentre è solo un uso esteso delle sagre. Quelle costose
con i soldi dei Comuni, attraverso le Pro Loco. Talvolta, è vero, su fondi
europei.
Eravamo
micenei, anzi minoici
Si dà il nome di Magna Grecia
convenzionalmente alle città che migranti greci hanno edificato su suolo
italico a partire da Napoli, nel 721 .C., a seguito delle invasioni della
Grecia da parte dei popoli del Nord – “indoeuropei”, “ariani” – e delle tirannidi.
Ma in epoche più antiche vaste zone della Puglia, la Calabria, la Sicilia
furono interessate agli scambi con l’Egeo e all’impianto di colonie egee, nel
secondo millennio a. C.. In particolare attorno al 1500 a.C., con lo sviluppo
della talassocrazia cretese. Furono quindi di civiltà minoica, e poi micenea. In
parte, se non prevalentemente. Con insediamenti mirati all’utilizzo delle
risorse locali, e come basi avanzate per i traffici col Mediterraneo
occidentale, la costa atlantica. Le leggende
di Diomede, Ercole, Enea e la simbologia del Toro ne sono espressione e
testimonianza.
leuzzi@antiit.eu
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